Di fronte al duomo di Novara, sul lato opposto del grandioso quadriportico antonelliano, si accede al battistero, la cui fondazione è fatta risalire tra la fine del IV e l'inizio del V secolo, negli ultimi anni dell'episcopato di San Gaudenzio. Fu elevato su un sito già occupato in epoca romana, come attestato dai reperti venuti alla luce sotto il livello del pavimento. Risparmiato dalla ristrutturazione della piazza operata dall'Antonelli, il battistero, costruito in mattoni, è oggi poco visibile dall'esterno, ma si inserisce comunque nel nuovo maestoso complesso come elemento di sobria vetustà. L'edificio presenta (com'è consuetudine per i battisteri) un'aula a pianta ottagonale, contornata alternativamente da absidiole semicircolarie da edicole rettangolari. La copertura originale era a tetto; il tiburio e la cupola che vediamo al suo interno nella forma attuale risalgono all'XI secolo, quando l'edificio venne innalzato.
All'interno troviamo l'aula ottagonale circondata da edicole radiali semicircolari culminanti in un catino, alternate da edicole rettangolari con volta a botte, secondo il modello delle aule imperiali romane. Ai lati di ciascuna cappella sono poste otto colonne in marmo, scanalate e sormontate da capitelli corinzi. Si tratta di manufatti romani provenienti dalle rovine di qualche edificio del II secolo, impiegati come elementi ornamentali, mentre la funzione portante è svolta dalle strutture in muratura. Tracciando idealmente i prolungamenti delle quattro edicole rettangolari si ottiene, al centro dell'aula, un quadrato in cui è posto il fonte battesimale. I restauri eseguiti tra il 1959 ed il 1966 hanno riportato alla luce i resti della vasca in mattoni paleocristiana di forma ottagonale, che doveva essere a quel tempo ricoperta di marmi: in essa il rito battesimale veniva celebrato "per immersione". Al posto della vasca originale, già in epoca medievale fu impiegato come contenitore di acqua destinata alla celebrazione del battesimo un manufatto romano in pietra di forma cilindrica: si tratta di un'urna funeraria risalente al II secolo che porta una iscrizione di dedica ad una certa Umbrena Polla fatta dalla liberta Doxa. Dopo gli scavi che hanno riportato alla luce il fonte originale, l'urna è stata collocata nella nicchia sul lato ovest.
La pavimentazione originaria era in opus sectile, con l'impiego di marmi bianchi e neri: sono rimasti solo alcuni frammenti che non lasciano intuire la antica eleganza decorativa.
La decorazione Delle originarie decorazioni a mosaico delle pareti sono sopravvissute solo poche tessere. I restauri degli anni sessanta hanno invece riportato alla luce, nella fascia superiore del tiburio, affreschi romanici di grande interesse eseguiti poco tempo dopo l'innalzamento del tiburio nel XI secolo. Si tratta di otto scene (corrispondenti agli otto lati della costruzione), racchiuse da fasce decorative a forma di meandro, che raffigurano scene dell'Apocalisse. Per quanto difficile sia oggi la lettura di tali scene, stante il loro precario stato di conservazione, è stato possibile riconoscervi le immagini corrispondenti all'apertura del settimo sigillo del libro tenuto dall’Angelo e alla comparsa dei sette Angeli con le trombe al cui squillo si annunciano i flagelli che colpiranno l'umanità. La prima scena raffigura l’Angelo all'Altare degli incensi (Ap 8,3-5), poi le scene dei sette flagelli: il fuoco e la grandine (Ap 8,7), il monte incandescente nel mare (Ap 8,8), la caduta della stella Assenzio nelle acque (Ap 8,10), l'oscurarsi di un terzo del sole, della luna e degli astri (Ap 8,12-13), il pozzo dell'abisso con le cavallette (Ap 9,1-12); seguiva poi la scena del sesto squillo con i quattro cavalieri della distruzione (Ap, 9,13-21) (ricoperta nel XV secolo da un nuovo affresco raffigurante il Giudizio Universale); infine la scena de la donna e il drago (Ap 11), con la donna che assume le sembianze di Maria, madre di Cristo: il significato simbolico e quello della Chiesa che con l'aiuto divino sarà vittoriosa contro il male. Anche la cupola era ricoperta da affreschi di ispirazione apocalittica. Le deboli tracce superstiti lasciano intravedere i quattro esseri viventi, un leone, un vitello, un uomo ed un'aquila (Ap 4,7) (intesi poi come simboli degli evangelisti); le quattro figure sono intervallate da Angeli che hanno una moltitudine di occhi sulle ali.
L'ignoto autore degli affreschi (convenzionalmente chiamato Maestro dell’Apocalisse di Novara) mostra di padroneggiare una notevole qualità pittorica. La sua collocazione artistica rimane incerta: sono state segnalate affinità con la cultura della corte imperiale germanica e la scuola del monastero di Reichenau, ed anche elementi di comunanza con le miniature del tempo (a cominciare dal Sacramentario di Warmondo ad Ivrea).
Nella fascia sottostante alla otto scene dell’Apocalisse si trovano, negli spazi tra le finestre, affreschi con figure di profeti di incera datazione. Nella prima metà del Seicento l'apparato decorativo dell'edificio venne profondamente modificata, sovrapponendo alla preesistente decorazione di alcune edicole radiali nuovi affreschi raffiguranti scene della Passione, dovuti alla mano di un valente pittore (già assegnati al Morazzone, con attribuzione ora ritenuta per lo più impropria). Tali scene facevano da sfondo a statue in terracotta dipinta, realizzate da Giovanni d'Enrico ed erano visibili attraverso grate secondo il modello dei Sacri Monti. Hanno trovato ricovero e sono esposti ora presso la Pinacoteca civica di Varallo i gruppi di statue della Flagellazione e del Compianto.
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