Risposta a Enrico Galavotti (di www.homolaicus.com) da parte di don Silvio Barbaglia dell’Associazione Culturale Diocesana «La Nuova Regaldi» (www.lanuovaregaldi.it) autore di «La favola di Cascioli».

Novara, 16 maggio 2007

Galavotti scrive: «Una questione di stile

È triste vedere un docente di Scienze bibliche presso il seminario diocesano di Novara, titolato a formare giovani seminaristi e insegnanti di religione, che a loro volta avranno a che fare col mondo dei giovani, sbeffeggiare uno studioso come Luigi Cascioli di essere un “agronomo” di Bagnoregio, di avere un diploma in “agraria”, di essere conterraneo di classi “rurali”… Come se la provenienza geografica, socioeconomica o scolastica di uno studioso dovesse essere un discrimen per qualificare il valore delle argomentazioni che sostiene.

È triste questo razzismo culturale da parte di un docente che dovrebbe insegnare ai propri allievi il rispetto e la tolleranza, e fa specie in un prelato che proprio per il ruolo che ricopre dovrebbe favorire pace e concordia, anche quando gli avversari appaiono duri e intransigenti.

Atteggiamenti come quelli di don Silvio Barbaglia, nel suo libro La favola di Cascioli www.lanuovaregaldi.it/doc/evento/Cascioli.pdf tradiscono una pretesa che oggi ha sempre meno ragione di esistere: quella del monopolio interpretativo da parte della chiesa romana in relazione alle verità cristiane e al fenomeno religioso in generale».

Barbaglia risponde: Una questione di «stile», appunto!

1) Parto dalla prima questione di Galavotti, quella dello «stile». Egli pensa allo stile del mio scritto in termini moralistici, si scandalizza che un educatore possa dare così il cattivo esempio ai suoi educandi. L’unica cosa giusta del punto di Galavotti è il titolo: «questione di stile»! E’ in effetti una questione di «stile», ma di stile letterario, di genere letterario usato! Il genere letterario usato è  abbastanza palese a chiunque si accosti a leggere il mio «La favola di Cascioli. Inconfutabile dimostrazione dell’infondatezza delle tesi dell’agronomo Luigi da Bagnoregio» (scaricabile in www.lanuovaregaldi.it). Chiunque vedrebbe che la struttura retorica retrostante è funzionale al «rispedire al mittente» ogni accusa che il Cascioli rivolge alla chiesa cattolica. Il titolo, il sottotitolo, l’utilizzo della professione di «agronomo» per inquadrare la persona che dibatte in tema di storicità del cristianesimo, l’uso dell’aggettivo «inconfutabile» più volte ribadito, il richiamo ai «falsari» e le denuncie a don Enrico Righi, che si adattano meglio al Cascioli che al Righi… il tutto per configurare un «teorema», appunto il «teorema di Cascioli». Rimandare al mittente tutte le accuse rivolte nei confronti della chiesa cattolica era l’istanza retorica retrostante all’intero testo «semiserio» e neppure di difficile decifrazione. Anche usando toni potenzialmente offensivi con chi, senza mezzi termini, li ha usati per anni, attraverso pubblicazioni, sito Internet e media nazionali e stranieri. Sia chiaro che non è stato certo un sentimento di livore o di rabbia che ha prodotto quello scritto. No, per il semplice fatto che: primo, neppure conosco personalmente Cascioli; secondo, mi sono attenuto il più possibile al genere letterario volutamente polemico, ben cosciente di suscitare provocatoriamente la questione per un giusto dibattito (sebbene questo abbia superato anche le mie attese). Ogni contesto comunicativo prevede dei codici. Pensando di lanciare la cosa in Internet e conoscendo i dibattiti in atto, ho valutato che questa forma comunicativa potesse essere efficace per la finalità che mi ero preposto: mostrare l’infondatezza delle tesi sostenute da Luigi Cascioli seguite ad occhi chiusi da tantissime persone... Certamente, se avessi pensato ad una pubblicazione scritta - in luogo di quella elettronica per fruizione via Internet - avrei dato forma e contenuto assolutamente diversi, soprattutto mi sarei dovuto rivestire direttamente della modalità tipica della pubblicazione scientifica come regolarmente faccio quando pubblico in tema di scienze bibliche.

2) Solo la distinzione chiara tra «autore reale» e «autore implicito» (guadagno delle scienze del linguaggio e dell’ermeneutica letteraria del sec. XX) riesce a far giustizia di un giudizio fondato sul procedimento messo in atto. Senza conoscere l’autore reale e senza documentarsi (…bastava anche solo scrivere il mio nome e cognome in un motore di ricerca e sarebbe stata abbondante la mole di possibilità di giudizio su altri aspetti del sottoscritto) è facile lasciarsi andare a giudizi complessivi sull’autore reale che procedono proprio soltanto dall’unico testo letto (dove parla l’autore implicito), con il rischio di non cogliere la logica sottesa, di carattere retorico, rispondente ad un genere letterario preciso. Il caso di Luigi Cascioli invece è diverso, perché egli non solo ha scritto un libro e lo ha fatto stampare per diffonderlo (quindi con «pretesa» ben diversa da quella del sottoscritto), ma è a capo di un intero sito (www.luigicascioli.it), rimanda a link ad altri siti analoghi per acredine contro la chiesa cattolica, è ripreso dai motori di ricerca su circa 60.000 link in tutto il mondo, sempre e solo per quest’unica battaglia contro la chiesa cattolica. In quel caso, posso dire, senza grossi timori di essere smentito, che il Cascioli ha fatto della battaglia contro il fondamento del cristianesimo (Gesù Cristo mai esistito!) e contro la Chiesa cattolica la sua ragione di esistenza in questi anni. La continuità tra le caratterizzazioni dell’autore implicito e dell’autore reale qui è maggiormente verificabile. Possiamo quindi affermare che anche l’istanza del «lettore implicito» del mio testo, - ovvero il progetto di lettore di cui il testo si fa portatore - corrisponde chiaramente a questo Luigi Cascioli, qui appena tratteggiato, in compagnia di tutti coloro che ne condividono lo stile e i contenuti e, tra questi, evidentemente anche Enrico Galavotti. La differenza quindi è che il sottoscritto si è rivestito di quella vis polemica al fine di usare uno stile simile ma con contenuti diversi di chi vuole condurre solo una «battaglia contro».

In sintesi, la scelta del genere utilizzato e dello stile sono stati voluti per raggiungere finalità che, come si sa, non solo non convincono facilmente soprattutto chi si oppone alle tesi sostenute, ma addirittura, creano fastidio e repulsione in personalità con carattere pacato che non amano la polemica «contro» o in chi si oppone risolutamente alle tesi esposte; fastidio e repulsione che si manifestano in vari modi, da considerazioni etiche professionali (come Enrico Galavotti), legate al «buon esempio» dell’educatore alla svalutazione del contenuto del testo, per acredine e polemica gratuita (come tra i commenti letti nei blog e nei forum).

 

Galavotti scrive: «Una questione di metodo.

Considerando che le fonti neotestamentarie da tempo gli esegeti più scrupolosi stentano a reputarle come assolutamente autentiche o attendibili (in fondo è stato proprio dal dubbio che è nata la critica testuale), non c’è alcun bisogno di inveire contro chi propone ipotesi o anche tesi interpretative divergenti da quelle ufficiali o tradizionali (che in Italia, come noto, coincidono con quelle ecclesiastiche).

Alla fin fine si tratta di un punto di vista contro un altro, per cui, se non vogliamo tornare ai tempi bui delle scomuniche, dovremmo lasciare ai lettori o addirittura alla storia il compito di stabilire quale versione dei fatti sia la più vera o verosimile. Rispondere a delle pretese esegetiche, che in effetti possono anche apparire dogmatiche, con altre non meno perentorie, non aiuta certo lo sviluppo della ricerca e dello spirito critico.

La mancanza di serenità interiore, quando si affrontano argomenti così cruciali per le sorti di convinzioni religiose radicate nei secoli, tradisce stati ansiogeni, di risentimento o di paura, che non si addicono a chi fa dell’indagine critica una delle ragioni della propria vita».

Barbaglia risponde: Una questione di metodo, appunto!

La critica a Luigi Cascioli non è certo stata elaborata dal sottoscritto perché sosterrebbe tesi discordanti dalle mie, bensì per il metodo usato funzionale al dogmatismo storiografico tra i più radicali che non abbia mai riscontrato. Le sue sono asserzioni prive di documentazione, senza una sola citazione bibliografica ma sempre dogmatiche. Le verifiche svolte con acribia su porzioni del suo testo mostrano imprecisioni, pressappochismi impressionanti… Il mio scritto dovrebbe essere sufficiente a mostrare tutto questo: smentirlo è possibile, certo, ma portando prove e non solo affermazioni generiche e apodittiche «alla Cascioli». Ci sono dei riferimenti che vanno oltre l’opinione, la documentazione offre una sua base di oggettività. Anche i più radicali decostruzionisti riconoscono anch’essi una resistenza oggettiva del testo in opposizione ad una teoria radicale di interpretazione infinita. Quindi nella ricerca storica si procede vagliando, documentando, ragionando… Quando si mettono in campo questi aspetti metodologici è possibile un’intesa, diversamente è dogma allo stato puro. Il libro di Cascioli è una forma di scrittura ex Cathedra. Il mio, in molte sue parti, ne imita lo stile con la finalità di relativizzare la pretesa dogmatica. E poi sarebbe la Chiesa ad essere dogmatica…

Gli stati ansiogeni o di serenità interiore evocati dal Galavotti, infine, sono certamente da riferirsi al Cascioli, a meno che egli non abbia capito la forma letteraria del mio scritto che, nella sua composizione, ha provocato in me tutt’altro stato d’animo: oltre ad avermi impegnato mi ha anche divertito. Ma senza minimamente dubitare che quel titolo di «agronomo» dato al Cascioli avrebbe potuto suscitare sentimenti di discriminazione culturale poiché l’agronomia è appartenuta alla sua formazione e alla sua professione. Io dovrei offendermi se mi danno del «prete»? Penso proprio di no. Nessuno vieta ad un agronomo di essere esperto di storia antica, di origini del cristianesimo e di scritture, ma lo deve dimostrare. E viceversa: nessuno vieta ad un esperto di filologia biblica di minare alla base i cardini fondamentali della scienza agronomica, ma lo deve mostrare non basta «sparare». Per chi è del mestiere è più facile collocarsi nei dibattiti alti, per chi non lo è deve conquistarsi il posto mostrando le competenze. Questa non è discriminazione ma metodo scientifico normale in tutti i campi della conoscenza. Cascioli invece ha dimostrato il contrario! Mi si dica, con cognizione di causa, dove e in che cosa nel suo libro e nel suo sito il Cascioli si mostra uno «studioso» nell’accezione tecnica del termine!

Galavotti scrive: «Una questione di merito.

Forse il Cascioli può aver esagerato negando l’esistenza storica al Cristo (cosa che prima di lui molti altri hanno fatto), ma perché non ammettere che persino negli ambienti cattolici più avanzati si dà per acquisita la differenza tra “Gesù storico” e “Cristo della fede”?

Al giorno d’oggi diventa quanto meno discutibile usare argomentazioni a favore del “Cristo della fede” per sostenere delle tesi a favore del “Gesù storico”.
Sono piani diversi, che non dovrebbero legittimarsi a vicenda, non foss’altro perché tale distinzione è frutto di studi condotti con rigore scientifico in ambienti protestantici stimati in tutto il mondo, che per molti aspetti hanno portato a considerare le fonti neotestamentarie quanto meno imprecise, ambigue, reticenti se non addirittura fuorvianti: il che ha finito con l’aprire la strada a una visione del tutto laica e razionale della vicenda legata al nome di Cristo.

Prima della Scuola di Tubinga non si sospettava neppure che potesse esistere una differenza tra “Gesù storico” e “Cristo della fede” (ancora oggi gli ortodossi la rifiutano, e a non torto, poiché sanno benissimo che se si approfondisce quella differenza si rischia di far cadere tutto il castello di carte false costruito intorno alla figura di Gesù, la prima delle quali è quella relativa all’identificazione di “tomba vuota” e “resurrezione”).

Dunque il Cristo potrà anche essere esistito, ma certamente non assomiglia a quello rappresentato nel Nuovo Testamento, dove il suo messaggio di liberazione nazionale è stato sostituito, a partire soprattutto da Paolo, da uno di redenzione universale».

Barbaglia risponde: Una questione di merito, appunto!

Sul “Gesù della storia” e il “Cristo della fede” siamo di fronte a tre secoli di discussioni che non possono essere qui ripresi. Il mio scritto non prendeva in considerazione tale tematica ma solo la dimostrazione che le due prove avanzate dal Cascioli (che avevano la pretesa di mostrare in modo inconfutabile la non esistenza storica di Gesù) erano così deboli da mostrarsi esse stesse capi d’accusa contro lui medesimo al posto di don Enrico Righi: ovvero l’accusa di abuso di credulità popolare e di sostituzione di persona. Un autogol che pochi sarebbero stati capaci di congegnare. In ogni caso se il sig. Galavotti desidera leggere che cosa penso sinteticamente in merito alla questione complessa del “Gesù della storia” e del “Cristo della fede” può scaricarsi il testo di recensione al libro di C. Augias e M. Pesce, Inchiesta su Gesù in: http://www.lanuovaregaldi.it/doc/evento/Recensione%20Pesce%20e%20Terza%20ricerca.pdf dal titolo: «In margine alla discussione del libro-intervista di Corrado Augias - Mauro Pesce».

Galavotti scrive: «Una questione politica

Qui però se si entrasse nel merito di tutte le questioni affrontate nel testo di Barbaglia, il discorso diventerebbe molto lungo.

Si può semplicemente osservare che ogniqualvolta si nega un qualunque valore alla tesi secondo cui il Cristo (o chi per lui) sarebbe stato un politico rivoluzionario, e che furono i suoi discepoli (o forse solo alcuni di essi, quelli che alla fine prevalsero) a trasformarlo in un redentore morale, di fatto si finisce con lo schierarsi apertamente dalla parte di chi non ama che vengano messi in discussione i poteri politici acquisiti della chiesa romana.

Una posizione del genere, per quanto documentata e forbita possa presentarsi al lettore, non ha alcun valore esegetico.

Infatti se un intellettuale cattolico deve limitarsi a usare le migliori acquisizioni della critica redazionale protestante solo allo scopo di difendere uno status quo clericale, allora sarebbe quasi meglio che affidasse unicamente alla forza della fede e della tradizione – come fanno appunto gli ortodossi – il valore della propria confessione.

Gli intellettuali cattolici, sotto questo aspetto, appaiono come lacerati da un conflitto di coscienza: non hanno il coraggio protestante di un affronto disincantato delle fonti neotestamentarie e non hanno neppure il coraggio ortodosso di sostenere che la forza della fede non può poggiare su principi politici».

Barbaglia risponde: Una questione politica, meglio «fantapolitica»!

Volere etichettare – nel caso: intellettuale cattolico – senza entrare nel merito della discussione, delle prove, dell’oggetto stesso è volere sfuggire dal tema trattato. Il sig. Galavotti che procede con i classici cliché ed etichette attribuisce al sottoscritto interessi di politica ecclesiale garantista di poteri acquisiti a partire già dalla forma della cristologia del redentore morale contro il rivoluzionario politico. Da parte mia nessuna di queste preoccupazioni, ma solo quella della ricerca attraverso studi di settore approfonditi, le fonti, andando ai testi originali, consultando i manoscritti antichi, fino a leggere i facsimili di tutti gli antichi manoscritti dei primi secoli. Gli intellettuali cattolici sono molto più vari, seri e liberi di quanto pensi Enrico Galavotti che trovo, lui sì, molto più «fatto con lo stampino» dell’homolaicus segnatamente anticlericale. Sento più varietà di gusto e di prospettive nel cattolicesimo e molta più libertà di pensiero…

Galavotti scrive: «Una questione ermeneutica

Purtroppo il Barbaglia, preso com’è a difendere privilegi acquisiti, non s’è accorto che quando si vuole sostenere con caparbietà la tesi secondo cui le fonti cristiane a nostra disposizione sono antichissime, risalenti addirittura al I secolo, quindi vicinissime ai fatti narrati; quando si vuole sostenere questo proprio allo scopo di dimostrare che i cristiani credettero subito nella resurrezione del Cristo e nella sua figliolanza divina, e che quindi non ci fu affatto una falsificazione tardiva, operata quando tutti i protagonisti della prima generazione erano già morti, non ci si accorge che se davvero le fonti storiche risalgono al I secolo, noi dobbiamo inevitabilmente concludere che la falsificazione del messaggio di Cristo iniziò subito dopo la sua morte, tra i suoi stessi seguaci, all’interno di quella inspiegabile tomba vuota.

La tesi di questi intellettuali cattolici si ritorce come un pericoloso boomerang contro la stessa credibilità della chiesa cristiana, la quale verrebbe a poggiare le propria fondamenta su una falsificazione ancora più antica di quello che si credeva.

Il Nuovo Testamento è nato per rassicurare i romani che i cristiani non erano “nazionalisti” come gli ebrei, ma “cosmopoliti”; non erano interessati alla “politica” ma alla “religione”; non si rivolgevano “alla carne e al sangue” ma alle “potenze dell’aria”».

Barbaglia risponde: Una questione ermeneutica, ma quale ermeneutica?

Si parla di falsificazione del cristianesimo. Non so a quali intellettuali cattolici si riferisca il Galavotti. Io so solo che se il riferimento è all’ambito scientifico della Terza ricerca (Third Quest) allora è possibile intenderci su un piano almeno comune di ermeneutica storica, se invece si vogliono fare degli scoop, allora è un altro paio di maniche, ma l’ermeneutica è un’altra cosa. I criteri storiografici del Cascioli sintetizzati al termine del mio scritto ben si attagliano anche al Galavotti se non documenta ma asserisce soltanto.

Galavotti scrive: «Oltre Cascioli?

Posta tale questione ermeneutica, risulta davvero necessario, per poter attribuire un carattere rivoluzionario al Cristo, riferirsi a un personaggio extracanonico? Perché temere che, nell’utilizzare le medesime fonti neotestamentarie, non si sarebbe potuto ugualmente dimostrare la presenza di tale aspetto nella predicazione del Cristo? Forse che l’esegesi cristiana oggi, alla luce della moderna critica testuale, è in grado di stabilire con sicurezza incontrovertibile che il Cristo non fosse quel rivoluzionario che era?

Gli intellettuali laici hanno forse timore di farsi mettere in crisi dalle osservazioni di Barbaglia, che si diverte a ridicoleggiare le tesi dell’agronomo Cascioli, ipotizzando soluzioni interpretative opposte? Così infatti scrive nella nota 103: “Per quanto i cristiani dei primi secoli avessero la preoccupazione di mostrare un’immagine forte di un cristianesimo battagliero contro l’eresia, attribuendo azioni di coraggio agli apostoli e mettendo in bocca parole violente allo stesso Gesù al fine di legittimare una propria guerra di religione, non sono riusciti ad occultare la vera essenza del messaggio e della prassi di Gesù e del suo gruppo, di natura pacifica e non violenta, in opposizione all’uso della forza e secondo una separazione radicale tra Cesare e Dio!”.

Peccato che il Barbaglia non ci dica dove i cristiani avrebbero fatto questo, quando si sarebbero comportati così. Questo gioco delle possibilità teoriche astratte poteva andare bene tra i sofisti al tempo di Socrate: di fatto tutto il Nuovo Testamento presenta il Cristo e i cristiani in maniera tale che i poteri dominanti (quelli romani) non avevano nulla di cui preoccuparsi».

Barbaglia risponde: Oltre Cascioli? Speriamo!

Quando la storia si scrive sapendo già come deve andare a finire ancor prima d’avere ricercato è una storia smaccatamente ideologica. Che Gesù fosse un rivoluzionario politico è un’ipotesi di lavoro vecchia come la storia della ricerca sulla vita di Gesù. Più nessuno resta stupito da questa posizione. Si resta stupiti quando la si afferma ritenendola “oro colato”, verità assoluta. Tale posizione è stata teorizzata, smontata, contestata e oggi, in ambiente scientifico della Terza ricerca quasi più nessuno ritiene possa essere un ambito significativo per interpretare la figura del rabbi Gesù. Ecco il senso dell’«ipotesi al contrario» della nota 103. Basta essere convinti di un’idea poi i documenti e i testi che in qualche modo danno ragione all’ideologo si trovano, anche attraverso contraffazioni, citazioni inventate, personaggi creati ad hoc… Luigi Cascioli, abbiam visto, in questo è maestro non solo in Israele…

 

Galavotti scrive: «Oltre Barbaglia?

Contestare Cascioli per aver detto che il Cristo dei vangeli non è mai esistito, e ribadire la tesi del Cristo redentore, rispecchia una posizione superata, che non fa progredire di un millimetro la ricerca storica.

È assurdo pensare che non ci possono essere falsificazioni intorno alla vicenda di Cristo proprio perché il soggetto in questione è “figlio di dio”! O che una tesi non ha alcun valore argomentativo finché non è dimostrata da fonti storiche inoppugnabili.

Noi viviamo a duemila anni di distanza dai fatti che vogliamo cercare di capire. Persino di fronte a un incidente stradale di cui siamo testimoni oculari, spesso dobbiamo costatare versioni opposte.

Dunque, se può anche essere giusto contestare a Cascioli che per sostenere il lato rivoluzionario del Cristo non era necessario negargli l’esistenza, si sarebbe comunque fatta più bella figura formulando nuove domande interpretative: p.es. perché la rivoluzione del Cristo fallì? Perché dopo la sua morte non fu proseguita? Perché si fece di un evento politicamente insignificante (la tomba vuota) il fulcro di tutta la sua predicazione? Se la rivoluzione di Cristo fu politica e non religiosa, come si configura il ruolo di Giuda?

Ma se da Nazareth non può venire nulla di buono, potrà venire qualcosa di buono da un seminario di Novara?»

Barbaglia risponde: Oltre Barbaglia? Verso l’homolaicus Galavotti? Auguri!

L’oggetto del mio studio che evidentemente Galavotti non ha considerato nelle sue articolazioni logiche e contenutistiche, non era la tesi del Cristo redentore, ma, lo ripeto, dimostrare l’infondatezza delle due tesi di Cascioli. Stop, solo questo! Se avessi dovuto considerare il problema del Gesù storico, tout court o del Gesù come figlio di Dio, redentore, Signore, ecc… avrei avuto bisogno di ben altro spazio letterario. Capisco che sono queste le cose che interessano al Galavotti perché in questo vorrebbe ribadire per l’ennesima volta che il Gesù della storia ha niente a che fare con il Cristo della fede. Tutte le domande che mi pone hanno già una risposta nella sua testa e nel suo cuore, perché appartengono non tanto all’euristica ma al prodotto già preconfezionato. Non voglio dunque rovinarglielo. Galavotti, infine, si domanda: «Ma se da Nazareth non può venire nulla di buono, potrà venire qualcosa di buono da un seminario di Novara?». Beh, bisogna ammettere, che è l’unica parte del discorso di Galavotti divertente e simpatica. Auguri!

Don Silvio BARBAGLIA
Docente di Scienze bibliche

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