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Perché ritiri la tua mano? (Sal 74,11). Il "perché" di chi si sente respinto
Documentazione
Documentazione evento:
La Casa dei Premostratensi di Miasino ha ospitato, domenica 13 gennaio, la quarta giornata di spiritualità, organizzata dalla Nuova Regaldi, all'interno del ciclo di incontri per riflettere sull’interrogativo “Dio mio, Dio mio, perché?” (Sal 22,2).
Nella mattinata, Don Silvio Barbaglia ha analizzato il "perché" del Salmo 74 “Perché ritiri la tua mano?. Il perché di chi si sente respinto”. Il Salmo ha per tema la caduta di Gerusalemme, con la distruzione del Tempio, un vero e proprio shock vissuto dal popolo di Israele in due occasioni, ad opera dei Babilonesi prima e dei sovrani ellenisti poi, prima della distruzione definitiva ad opera dei Romani, nel 70 d.C.
Non si comprende appieno il Salmo, se non si riesce a entrare in sintonia con il significato che Gerusalemme e il suo Tempio avevano per un Israelita. Gerusalemme era (e i fatti di oggi mostrano che è ancora) al centro dei pensieri del fedele. Rappresentava una realtà unica, assoluta, in cui ogni Ebreo sapeva di poter essere parte di un’esperienza straordinaria, che rappresentava il senso e il compimento della propria vita, ritmata dall’augurio “L’anno prossimo a Gerusalemme”. Apice di questa visione era il Tempio, dove il Signore, colui che aveva chiamato il popolo di Israele e gli aveva fatto la promessa, abitava.
La caduta del Tempio è, al tempo stesso, tragedia individuale e collettiva. Ogni Ebreo, e il popolo tutto, vede crollare l’unica reale certezza su cui aveva costruito la propria vita.
Nasce da questo il lamento del salmista. E’ confuso. E’ sicuro che Dio esista: lo invoca. Ma non comprende: se crolla la casa di Dio, in quale modo il Signore può manifestare la sua presenza, essere vicino al suo popolo, dare un senso all’esistenza dei singoli? Il Salmo chiede una sola cosa a Dio: ricordati del passato, torna ad essere quello di prima.
Possiamo leggere questa esperienza come quella che viviamo quando una grande pena, fisica o interiore ci colpisce. Invochiamo Dio e gli chiediamo di restituirci le cose belle che ci mancano. Del resto, quando tutto va bene, la tentazione è ignorare Dio: non c’è bisogno di altro. E allora, quando il tormento si fa più forte, si comprende che la domanda è mal posta: non bisogna chiedere a Dio “dammi questo, fai quello”. Ma rivolgergli una domanda semplice ed essenziale: “stammi vicino”. E ci si rende conto che solo questo basta.
Questa conclusione ha suscitato alcuni interrogativi, che restano aperti, tra i partecipanti all’incontro: come evitare il rischio di cedere alla rassegnazione? Se “ci si accontenta” (ammesso che sia possibile) della presenza di Dio, si trova ancora il desiderio di agire per migliorare la propria condizione, e quella di chi ci sta intorno?
Nel pomeriggio, Don Primo e Don Costanzo ci hanno parlato a nome dei Premostratensi, ordine fondato da San Norberto con la missione particolare di celebrare l’Ufficio, in un momento storico in cui era venuta meno la cura per questa preghiera da parte del clero diocesano. La Liturgia delle Ore è una grande preghiera della Chiesa: per questo dovrebbe essere celebrata in maniera comunitaria e, preferibilmente, con il canto. Inoltre, essendo basata sui Salmi, ci avvicina al modo di pregare che era quello di Gesù. Ogni Salmo descrive una sfaccettatura dell’uomo. Pregandoli tutti, secondo la scansione della liturgia, significa comprendere appieno la creatura che Dio ha voluto incontrare facendosi simile ad essa, nei suoi momenti di gioia e di debolezza, di lode e di dolorosa invocazione.
Francesco Platini

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