Documentazione evento:
Giunto al suo settimo appuntamento, il percorso di lettura, analisi e interpretazione delle epistole paoline, a cura del biblista don Silvio Barbaglia, fa tappa a Sizzano, località della diocesi novarese, sede di un'antica Pieve, testimonianza suggestiva, della fede dei "nostri padri".
Tutto dedicato alla lettera indirizzata alla comunità di Colossi, il commento di don Silvio mostra come il pensiero paolino, pur rispondendo a singole problematiche presenti in quella specifica comunità, lontana dunque nel tempo e nello spazio da noi, sia in grado, tuttavia, di suggerirci, ancora oggi, un indirizzo preciso e certo circa il nostro modo di vivere la fede.
"Non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti" questa l'affermazione di Paolo, tratta dal terzo capitolo della lettera ai Colossesi, scelta quale appropriata sintesi dell'intera giornata. Già nel primo capitolo che contiene, pur in forma poetica, un intenso trattato teologico circa la vera natura di Gesù Cristo, "immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura", è evidente la volontà di Paolo di rassicurare i Cristiani di Colossi (ma anche noi) che non c'è bisogno di cercare mediatori particolari nel nostro rapporto con Dio, perché l'unico mediatore è Gesù Cristo
"Poichè piacque a Dio di far abitare in Lui ogni pienezza, e per mezzo di lui riconciliare a se tutte le cose". Per far comprendere la portata di questa affermazione, don Silvio, passa in rassegna le motivazioni storiche della sollecitudine apostolica riservata da Paolo alla comunità di Colossi che presentava al suo interno numerose incertezze circa i modi diversi di sentire la fede con particolare riguardo alla funzione dei mediatori fra l'uomo e Dio, quali le creature angeliche e circa altre questioni importanti legate all'appartenenza giudaica o meno. Noi Cristiani di oggi, come i membri della comunità di Colossi, siamo chiamati a vivere una relazione viva e autentica con Dio senza ricorrere a pratiche ascetiche che ci danno modo, in fondo, di sentirci soddisfatti per aver fatto bene, perché, come dice Paolo stesso, "Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne" (Col 2,23). Ciascuno di noi quindi, come suggerisce Paolo, lasciando spazio autentico a Cristo, riconoscendone sempre in tutto il primato, senza voler imporre modelli di pensiero troppo stretti saprà scoprire la via per far penetrare anche oggi il Vangelo fra "le genti", per rendere "ciascuno perfetto in Cristo".
Chiara Zanardi