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Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato
Documentazione
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Domenica 17 gennaio l’associazione culturale “La Nuova Regaldi” ha proposto il quarto incontro all’interno delle “Domeniche di spiritualità e cultura”, dedicate quest’anno ad un approfondimento biblico e teologico del “Credo”. La giornata ha visto l’analisi del cuore del messaggio cristiano, cioè il mistero pasquale, che viene compendiato nella formula: “fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto e il terzo giorno è resuscitato”. L’appuntamento, svoltosi presso l’abbazia benedettina dell’isola di s. Giulio, ha visto un primo intervento per la parte biblica svolto da don Silvio Barbaglia, docente di esegesi biblica, mentre il pomeriggio è stato riservato all’approfondimento sistematico e teologico, affidato a don Piermario Ferrari, che insegna discipline filosofiche e teologiche.
Don Silvio, concentrando il suo intervento sull’evento della resurrezione, è partito affermando che sempre la ragione si appoggia su un elemento fiduciale. La fiducia quindi è sempre centrale in ogni procedimento razionale, a partire dal semplice accordo tra la parola e l’oggetto vigente in ogni comunità che usa una certa lingua.
La consapevolezza della sinergia tra ragione e fede si è però spesso persa nella ricerca teologica quando analizza il mistero pasquale. Questo infatti viene interpretato all’interno di una dicotomia tra l’evento della morte, considerato come fatto storico accessibile attraverso la razionalità storica, e quello della resurrezione, pensato come un dato accettabile solo dentro un orizzonte di fede. Quest’impostazione colloca i due eventi all’interno di due registri pensati come opposti: la morte dentro la storia e la resurrezione all’interno dell’ambito della fede.
La necessità di pensare strettamente unite fede e ragione è presente invece nei racconti evangelici delle apparizioni di Gesù risorto. In questi brani l’intento dell’evangelista sarebbe di accompagnare il lettore a prendere coscienza del fatto che Gesù si mostra risorto con delle modalità che lo spingono a spogliarsi di ogni dubbio. Questo perché non si afferma che Gesù è risorto nella logica della testimonianza, ma è presentato nella narrazione come un personaggio vivo nella sua piena corporeità. L’episodio, infatti, nel quale Gesù compare a Tommaso, dove al centro abbiamo l’esperienza tattile del discepolo e il passo dove si presenta Gesù risorto che mangia spingono il lettore a rendersi conto che Gesù non è stato solo visto. Con il rischio dell’equivoco, perché si possono vedere anche cose non esistenti, ma è apparso, al punto che è stato toccato ed ha mangiato. L’evento della resurrezione nella logica narrativa del vangelo quindi non si fonda sulla testimonianza degli apostoli, ma su Gesù autotestimone della sua resurrezione.
Dopo la celebrazione eucaristica, nella quale il Mistero scandagliato dalla ragione teologica è stato celebrato e pregato, l’esposizione di don Piermario si è concentrata sui contributi che la teologia ha offerto alla comprensione della morte di Gesù. La relazione è partita dall’analisi dell’impostazione manualistica che ha formato intere generazioni di sacerdoti prima del Vaticano II. Essa è debitrice della riflessione del teologo e filosofo medioevale s. Anselmo d’Aosta, rifluita poi anche nella devozione e nelle omelie. Egli presenta l’incarnazione di Cristo come una sorta di “rimedio” del Padre al peccato dell’uomo. In particolare la morte è interpretata con la categoria di “soddisfazione”. Questa però deve essere compresa a partire dall’etimologia latina che indicherebbe il “fare abbastanza”. “Quella morte” allora è talmente eccedente che per questo riesce ad essere “soddisfacente”. Il limite di questo impianto però risiede nell’utilizzo di categorie interpretative che non sono propriamente bibliche e per questo, se sono usate in modo improprio, rischiano di offuscare l’originario evangelico.
Don Piermario poi ha esposto alcune interpretazioni dei teologi del Novecento che hanno rinnovato la riflessione manualistica. Rahner ha pensato la morte di Gesù alla luce dell’esperienza umana del morire. Questa non deve essere pensata solo come il termine improvviso della vita, ma come il suo compimento, al punto che la morte può riscattare l’esistenza. In questa linea interpretativa la morte di Gesù diventa via del rinnovamento dell’uomo.
Balthasar ha criticato questa lettura, affermando che nell’interpretare la morte di Gesù non si deve partire dal morire dell’uomo, ma ci si deve concentrare su quella di Gesù. Questo permette di analizzarne le implicazioni per l’uomo. Così impara a vivere e a morire grazie alla specificità di “quella” vicenda.
Infine il teologo protestante Moltmann parte dall’assunto di Lutero secondo il quale si ha vera conoscenza di Dio solo in Cristo crocifisso. Così in quell’evento tragico abbiamo la vera profondità del rapporto tra Padre e Figlio. Nella contemplazione della croce del Figlio allora è possibile cogliere la vera dimensione del vivere umano, che ha il suo centro nella speranza che deriva dalla resurrezione del Crocifisso che vince la morte.
La preghiera dei Vespri con la comunità monastica ha terminato la giornata nella certezza, pregata e non più solo pensata ed espressa da Pietro, secondo la quale: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68 b).

Andrea Mercatanti
 


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17 gen 2010
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don Silvio Barbaglia Don Pier Mario Ferrari ,



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