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Educare alla vita buona del Vangelo: convegno diocesano |
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Documentazione evento:
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Audio:
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16 set 2011
Giuseppe Savagnone
L'io? Una "società per azioni a maggioranza variabile". È l'immagine vivace con cui Giuseppe Savagnone descrive come l'uomo si autopercepisce nella cultura odierna, cosiddetta post-moderna. L'esistenza è vissuta come una serie di esperienze che stentano a trovare nell'interiorità un centro unificante, capace di critica e confronto consapevole. È così tramontata (per fortuna) l'epoca degli uomini "tutti d'un pezzo", in cui aderire ai modelli dominanti era l'unica via per sentirsi cittadini a pieno titolo di una società omologante. Ma un io troppo moltelplice e inconsapevole di sé è incapace di scegliere la direzione della propria vita, e rischia di vagare senza meta, in balia di pulsioni interiori ed esteriori che non riesce a dominare. Ma insieme all'io, oggi sono in crisi anche i concetti di comunità e di missione. L'uomo post-moderno desidera essere autonomo, e si mostra insofferente nei confronti delle forme organizzate di vita comune, siano esse la famiglia, la Chiesa o lo Stato, temendo che essa siano una minaccia alla sua libertà di "farsi i fatti propri". E dimenticando che le azioni di ciascuno hanno effetti, prima o poi, sulla vita di tutti gli altri membri di una società. Così, nel clima di disimpegno generale, la vita non è più percepita come una una missione da vivere a vantaggio degli altri, ma come la ricerca della propria autorealizzazione. Una sorta di mito che impedisce di vedere come, in realtà, le più ricche soddisfazioni personali nascono dal mettersi a disposizione degli altri offrendo con passione il meglio delle proprie capacità e delle proprie forze. Tre crisi dunque - quelle dell'io, della comunità e della missione - che espongono l'uomo d'oggi a rischi e a difficoltà. Ma anche altrettante opportunità di crescita di una società più felice e umanizzata, purché i giovani trovino sulla loro strata educatori, capaci di ascoltarli, di comprenderli e di aiutarli a crescere. È il compito che la Chiesa si assume nel nuovo decennio pastorale.
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17 set 2011
Giuseppe Savagnone
Si parla tanto di "emergenza educativa". Ed è vero, l'emergenza c'è. Ma la colpa non è dei giovani. Sono gli adulti, infatti, a essere da sempre in difficoltà nel capire le nuove generazioni. E oggi più che mai, a motivo dei grandissimi cambiamenti culturali degli ultimi decenni, tanto che i genitori si sentono ormai incapaci di proporsi ai loro figli con argomenti credibili e come modelli di vita convincenti. Come uscire dall'impasse? Occorre "seminare", suggerisce il Vangelo, che - nella parabola del seminatore - pone l'accento sul terreno, cioè sulla persona in crescita, vero protagonista del processo educativo. Chi educa deve porsi al suo servizio, attendendo che i giovani maturino, crescano, siano pronti a compiere nuovi passi nel cammino formativo. Ma seminare e attendere non basta. Gesù infatti sceglie tra i suoi discepoli i pescatori, abili nel seguire i pesci per andare a pescarli là dove si trovano, spinti da correnti, venti e maree. Come gli educatori, che oggi debbono intuire dove vanno i gusti e gli interessi dei giovani, per essere pronti a intercettarli con strategie che, per essere efficaci, debbono essere continuamente rinnovate. E infine il Vangelo ci parla dell'educazione con la figura del pastore, colui che ama e conosce le pecore per nome, e va a cercare la pecora smarrita, lasciando le altre 99 nell'ovile. Un compito oggi forse più duro che in passato - perché 99 sono le pecore smarrite mentre una sola è rimasta nell'ovile del Signore -, ma per questo ancora più necessario, perché l'azione di una parrocchia sia autenticamente missionaria, pensando all'intero territorio affidato alle sue cure e non solo ai pochi che frequentano la messa. Così la Chiesa potrà offrire a tutti il modello di vita di Gesù, in cui il desiderio di vita e di bellezza si sposa con la capacità di dono e di amore gratuito. È la rivoluzione (pacifica) più grande, che tutto il mondo attende.
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Video:
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16 set 2011
Giuseppe Savagnone
L'io? Una "società per azioni a maggioranza variabile". È l'immagine vivace con cui Giuseppe Savagnone descrive come l'uomo si autopercepisce nella cultura odierna, cosiddetta post-moderna. L'esistenza è vissuta come una serie di esperienze che stentano a trovare nell'interiorità un centro unificante, capace di critica e confronto consapevole. È così tramontata (per fortuna) l'epoca degli uomini "tutti d'un pezzo", in cui aderire ai modelli dominanti era l'unica via per sentirsi cittadini a pieno titolo di una società omologante. Ma un io troppo moltelplice e inconsapevole di sé è incapace di scegliere la direzione della propria vita, e rischia di vagare senza meta, in balia di pulsioni interiori ed esteriori che non riesce a dominare. Ma insieme all'io, oggi sono in crisi anche i concetti di comunità e di missione. L'uomo post-moderno desidera essere autonomo, e si mostra insofferente nei confronti delle forme organizzate di vita comune, siano esse la famiglia, la Chiesa o lo Stato, temendo che essa siano una minaccia alla sua libertà di "farsi i fatti propri". E dimenticando che le azioni di ciascuno hanno effetti, prima o poi, sulla vita di tutti gli altri membri di una società. Così, nel clima di disimpegno generale, la vita non è più percepita come una una missione da vivere a vantaggio degli altri, ma come la ricerca della propria autorealizzazione. Una sorta di mito che impedisce di vedere come, in realtà, le più ricche soddisfazioni personali nascono dal mettersi a disposizione degli altri offrendo con passione il meglio delle proprie capacità e delle proprie forze. Tre crisi dunque - quelle dell'io, della comunità e della missione - che espongono l'uomo d'oggi a rischi e a difficoltà. Ma anche altrettante opportunità di crescita di una società più felice e umanizzata, purché i giovani trovino sulla loro strata educatori, capaci di ascoltarli, di comprenderli e di aiutarli a crescere. È il compito che la Chiesa si assume nel nuovo decennio pastorale.
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17 set 2011
Giuseppe Savagnone
Si parla tanto di "emergenza educativa". Ed è vero, l'emergenza c'è. Ma la colpa non è dei giovani. Sono gli adulti, infatti, a essere da sempre in difficoltà nel capire le nuove generazioni. E oggi più che mai, a motivo dei grandissimi cambiamenti culturali degli ultimi decenni, tanto che i genitori si sentono ormai incapaci di proporsi ai loro figli con argomenti credibili e come modelli di vita convincenti. Come uscire dall'impasse? Occorre "seminare", suggerisce il Vangelo, che - nella parabola del seminatore - pone l'accento sul terreno, cioè sulla persona in crescita, vero protagonista del processo educativo. Chi educa deve porsi al suo servizio, attendendo che i giovani maturino, crescano, siano pronti a compiere nuovi passi nel cammino formativo. Ma seminare e attendere non basta. Gesù infatti sceglie tra i suoi discepoli i pescatori, abili nel seguire i pesci per andare a pescarli là dove si trovano, spinti da correnti, venti e maree. Come gli educatori, che oggi debbono intuire dove vanno i gusti e gli interessi dei giovani, per essere pronti a intercettarli con strategie che, per essere efficaci, debbono essere continuamente rinnovate. E infine il Vangelo ci parla dell'educazione con la figura del pastore, colui che ama e conosce le pecore per nome, e va a cercare la pecora smarrita, lasciando le altre 99 nell'ovile. Un compito oggi forse più duro che in passato - perché 99 sono le pecore smarrite mentre una sola è rimasta nell'ovile del Signore -, ma per questo ancora più necessario, perché l'azione di una parrocchia sia autenticamente missionaria, pensando all'intero territorio affidato alle sue cure e non solo ai pochi che frequentano la messa. Così la Chiesa potrà offrire a tutti il modello di vita di Gesù, in cui il desiderio di vita e di bellezza si sposa con la capacità di dono e di amore gratuito. È la rivoluzione (pacifica) più grande, che tutto il mondo attende.
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17 set 2011
Mons. Renato Corti
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