“IL CORAGGIO DI AVERE PAURA. Hegel, Freud, Sartre” di FLORINDA CAMBRIA, dottore di ricerca dell’Università di Milano, autrice di saggi e ricerche.
La paura è un sentimento condiviso nei nostri tempi, nel nostro vivere quotidiano, ma non bisogna dichiarare la propria paura perché sembra una mancanza di forza, di virilità, ecc.. Dunque c’è questa negazione di avere paura, diffusa nella nostra società.
Ma “Cos’ è la paura?” Per Hegel, Freud e Sartre (quest’ultimo in modo più assoluto) il tema della paura ha 2 livelli differenti:
- nel primo livello, la paura è un sentimento locale, causato da una cosa determinata, esperienza di un timore determinato;
- nel secondo livello, la paura è strana…sfuggente, non ha oggetto determinato, non ha un perché apparente. E’ una paura assoluta, che Florinda definisce angoscia.
L’uomo sa di non essere una cosa, non è un albero, un sasso ecc..ha una coscienza e autocoscienza di essere umano davanti alle cose. E’ consapevole della propria umanità ed ha coscienza di avere paura. Si scopre però umano, quando ha la conferma da qualcosa di esterno che gli riconosce che lui è qualcosa di attivo. Accade così il riconoscimento. Ad esempio: io posso dire di essere una ballerina, ripetermi cento volte, sono una ballerina, sono una ballerina… ma quando è qualcuno che mi riconosce ballerina e mi dice: “tu sei una ballerina” mi rivela a me stessa. Nessun oggetto, cosa o sasso, potrà darmi questo riconoscimento, ma soltanto un altro essere umano può farlo.
Due autocoscienze (due esseri umani) hanno bisogno di incontrarsi per riconoscersi, ma nasce una lotta tra le due autocoscienze che è il rischio della morte. Ognuna vuole essere riconosciuta dall’altra e vincere. Le due autocoscienze devono mettere a rischio di annientamento la vita stessa, è una lotta a morte. Quando un’autocoscienza porta l’altra autocoscienza a diventare oggetto, cosa, la porta a morte perché le viene a mancare il riconoscimento che invece lei dà all’altra.
Chi ha più paura riconosce l’altra autocoscienza e si assoggetta, si sottomette..è il gioco del servo e padrone. L’autocoscienza più fifona riconosce di essere meno umana riconoscendo all’altra integralmente il titolo di umano. Sarà suo servo.
Ma vediamo come la dialettica di questa relazione porta al capovolgimento della situazione…
L’autocoscienza vittoriosa, una volta assoggettato il servo, si ritrova caparbia e non ha più nessuno che la riconosce dopo essere già stata riconosciuta. Il servo invece, lavorerà la terra per il signore, per riconoscerlo, dunque al servo è data la materia informe e al signore, il titolo, la fama, il sangue, la famiglia, ecc.. L’esperienza del servo e la fenomenologia dello spirito: il servo ha rinnegato la propria umanità, ma cosa ha visto quando si è riconosciuto servo, carne da lavoro, per dare la propria umanità all’altra autocoscienza? Di che cosa ha avuto paura? Il servo (autocoscienza servile) ha visto la paura assoluta (secondo livello), non individuale come quella del signore, non un’ansietà per qualcosa di determinato. L’ansia è la paura della negazione di qualcosa di determinato, mentre la paura della morte è paura assoluta, è angoscia. Hegel dice paura della negazione paura assoluta di tutte le forme. La paura assoluta è un’esperienza del trionfo dell’indeterminato. Chi accetta la servitù ha visto in faccia la morte, paura di qualsiasi cosa.
Dunque:
- ansia: paura di negazione di qualcosa
- angoscia: paura assoluta, annullamento di ogni forma e determinazione
Freud la chiama la pulsione di morte. Hegel parla di pulsione di morte e di vita. Freud scrivendo ad Einstein riferendosi alle cause della guerra nelle relazioni tra gli uomini, gli spiega cautamente che la guerra nasce dalla pulsione di morte. L’umano vuole ricondurre la vita a cosa inanimata, protegge la propria vita distruggendone una estranea (concetto come Hegel definisce servo/padrone). Vuole spingere la vita ad una materia informe, inerte, inanimata, cosalizzazione, pulsione di morte. Ricondurre la vita all’informe, all’indeterminato, all’insensato.
L’angoscia è in definitiva difficile da spiegare, inspiegabile perché non è determinata.
Sartre nel suo libro “La nausea” descrive un’esperienza di paura, di angoscia. (leggere quando il protagonista si trova nel giardino e racconta questa esperienza di esistenza, ossia di angoscia). Per Sartre esistere è fare questa esperienza.
Il protagonista fa esperienza di essere cosa. Vediamo come l’autocoscienza servile accetta di essere cosa.
La bruta cosalità della materia è ciò che suscita l’angoscia, ma è anche ciò che provoca una segreta attrazione, pulsione verso questa esperienza di cosa, perché l’informe mi attira, mi seduce, il puro informe è visto come fosse quiete, la seduzione dell’abbandono.
L’uomo deve continuamene farsi, ricostruirsi, deve ricontinuamente tornare a questa esperienza radicale. Deve sempre riconfigurarsi. Non c’è pulsione di vita senza la pulsione di morte.
- Pulsione di vita: eros, spinta e formare a creare forme.
- Pulsione di morte: spinta all’informe.
Il coraggio di esporsi, di accogliere la paura assoluta è l’essenza per costituire l’umano. C’è bisogno prima di vedere la morte per ricostituirsi.
Il servo si può dire, ha visto la morte in faccia che poi lo ha portato a produrre una nuova determinazione.
I luoghi sono: il linguaggio e il lavoro. Dare la propria forma al lavoro è produzione consapevole di determinazione. Il servo quando riconosce al signore piena autoaffermazione, comincia a lavorare per il signore.
Hegel dice: il lavoro è appetito tenuto a freno, dileguare trattenuto, non assoluto. Ovvero, il lavoro forma, dà forma, non è più il dileguare, ma è dar forma per affermarsi affinché non tutto dilegui.
Sono necessari i due momenti: sia la paura, sia il servizio o l’obbedienza.
Caparbio è il signore che ha avuto il riconoscimento, ma non ha fatto il passaggio dell’esperienza, del lavoro per accedere all’umano operativo, che è il lavorare.
Ciò di cui il signore ha fatto esperienza è un’ansietà, non una paura assoluta. Il signore nella lotta con il servo ha avuto coraggio, non si è arreso. Il coraggio del signore è da uomo, maschile, virile, ma mette a rischio una paura locale, non si è esposto alla paura assoluta, ma alla sua paura individuale, disprezzandola per farne posta in gioco della lotta, per affermare se stesso: avere il nome, la fama, il sangue, la famiglia, il titolo, la discendenza, ecc…cioè la pervicacia che vuol difendersi.
La società ha avvalorato questa concezione: l’ ansia, ottenendo così il senso di sé, la caparbietà.
Ma vediamo: cosa fa il servo?
Si piega, ha un altro coraggio, non vuole avvalorare se stesso, la sua individualità, non mette a rischio la vita individuale, ciò che ha di più caro, non ne fa il luogo dell’autoaffermazione, il servo fa l’esperienza della paura assoluta. Vede la pura materialità delle cose, non il semplice dileguare della propria vita determinata, non un dileguare dell’informe. Se fossimo tutti signori non avremmo forma. Il coraggio del servo è …femminile…il coraggio di piegarsi, per dare forma, perché ha visto l’abisso, si è trovato esposto alla nuda materialità senza forma, senza nome, senza fama, ecc…si espone alla possibilità di formare con il lavoro. Il signore ha avuto paura per sé, ma non ha lavorato, ha comandato, non ha la vera libertà. Il servo perde la propria autonomia nominando invece il signore, perde la propria autoaffermazione, la sua individualità, accetta di essere affidato all’altro, benché poi è lui che dà vita e forma all’informe. Entra in una condizione di autonomia che viene dall’altro mediante il lavoro che crea, che acquista forma e dunque è esposto all’alterità radicale, si espone all’indeterminato. La sua paura vissuta sino in fondo è il suo coraggio: perde il nome, la forma, il titolo ecc…ma in questo modo, quale carne da lavoro, esiste come lavoro che dà forma non come vita determinata, quella può andare…il servo sa che muore, ma sa anche come vivere: come lavoro, ha scelto l’eros, capacità di dare forma.
Forse questa è la sapienza il coraggio di avere paura. Forse il coraggio di avere paura è lasciare andare la propria affermazione individuale per mettersi a servizio in modo anonimo, senza affermazione di se stesso.
Sartre dice: “l’uomo è ciò che sa fare di ciò che gli altri hanno fatto di lui”.
INTERVIENE ALL’INCONTRO UN MONACO BUDDISTA, UN LAMA che ci lascia un suo pensiero sulla paura, su come fermare la paura:
tutti siamo sottoposti alla paura, c’è una relazione causale per la paura, le paure hanno delle cause, sono determinate da qualcosa. E’importante essere consapevole della paura, guardare alle cause e comprendere come rimuovere la paura guardando alla causa. L’origine della paura può essere in relazione all’aria, all’acqua, al fuoco, terra, agli elementi inanimati, oppure in relazione agli uomini. Sorge da:
- cose
- o dall’uomo, come la paura da altri diversi da noi o paure che creiamo noi stessi con il nostro pensiero distorto.
La paura creata da altri è differente è molteplice: esempio quando qualcuno ci vuole spaventare con profezie, se questo non ha anche la soluzione allora è meglio che taccia. Il lama mette in guardia anche dalle profezie che oggi si sentono dalla scienza di catastrofi riguardo al mondo.
Conclude dicendo che la radice della paura per la filosofia tibetana è l’attitudine autogratificante, quella di afferrarsi molto a se stessi, all’io. E’ possibile attraverso l’autoanalisi rimuovere la paura.
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