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ROMA - Sono pronto a predicare il Vangelo anche a voi di Roma: io infatti non mi vergogno del Vangelo |
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Documentazione evento:
«Dalla lettera di San Paolo alla Diocesi di Novara…» ROMA - «Sono pronto a predicare il Vangelo anche a voi di Roma: io infatti non mi vergogno del Vangelo» (Rm 1,16)
Domenica 16 novembre, nella parrocchia di San Pietro in Trobaso (Verbania), si è svolto il secondo appuntamento del percorso delle domeniche di spiritualità e cultura, organizzato anche quest’anno dall’associazione culturale La Nuova Regaldi. Percorso che intende seguire le tappe della predicazione di Paolo di Tarso alle comunità cristiane delle origini. Se nel primo appuntamento don Silvio Barbaglia, biblista, ci ha condotto per mano nelle comunità delle origini, immerse in un variegato ed ostile ambiente giudaico, e ci ha mostrato lo svelarsi di Cristo a Saulo sulla via di Damasco, nel secondo ci offre un’analisi complessa della Lettera ai Romani di san Paolo. Questa, ci avverte subito don Barbaglia, assieme alla Lettera ai Galati, è la più impegnativa e difficile dell’intero epistolario paolino e la magna charta del suo pensiero. La Bibbia di Gerusalemme, testo accreditato dalla Chiesa, nei versetti Rm 1,16-17, individua (in accordo con il resto dell’esegesi biblica tradizionale), la tesi paolina dell’intera lettera centrata sulla “salvezza mediante la fede”: Paolo di Tarso predica una salvezza che si può raggiungere con la sola fede in Cristo, in aperta polemica con il giudaismo, che afferma, invece, la salvezza attraverso le opere della Legge, - dove per Legge s’intende la Torah di Mosè. Il Figlio di Dio, morto e risorto per rimettere agli uomini i peccati, in sé contiene e supera la Legge (Rm 3,21 e Rm 3,22). La salvezza si configura come dono gratuito di Dio agli uomini attraverso il sacrificio del Figlio, purché si abbia fede in Cristo. Nella Lettera ai Romani, dunque, Paolo, non farebbe altro che affermare che Dio, al culmine della rivelazione, dona agli uomini la salvezza attraverso la fede: è Dio che si rivela all’uomo, ma è l’uomo che accoglie la salvezza di Dio per mezzo della sua risposta di fede nel Figlio Gesù Cristo.. Un rapporto binario, quindi, Dio-uomo, in accordo con una concezione originariamente giudaica. Ma il rapporto binario Dio-uomo è stato superato dall’avvento di Cristo! In una visione autenticamente cristiana, Gesù di Nazaret diventa polo centrale di un sistema ternario: è in Cristo che si rivela il vero volto di Dio, ed è ancora in Cristo che si realizza la vera essenza della fede. Gesù è la pienezza della rivelazione di Dio ma, al contempo, è uomo più di tutti gli altri uomini in quanto scevro dal peccato. Ciononostante, accoglie la volontà del Padre accogliendo su di sé il peso della croce, per la salvezza di tutti gli uomini. Gesù Cristo è il credente per eccellenza, la pienezza dell’atto di fede dell’uomo, e, nello stesso tempo, compimento della rivelazione di Dio. In altre parole colui che crede in Cristo, impara a credere in Dio Padre dallo stesso Gesù: lui è il modello e la pienezza di ogni vita di fede, è lui che ha consegnato tutto se stesso alla volontà del Padre. Gesù è la via che con la sua vita, le sue opere e i suoi miracoli conduce alla verità di Dio. È un ricongiungersi a Dio che sana la spaccatura tra fede e opere. In sintesi, la fede cristiana è fondata sulla stessa “fede di Gesù Cristo”. Paolo incontra Gesù e immediatamente vede in lui il vero giudeo credente, colui cioè che ha portato a compimento la Legge, consegnando tutto se stesso al Padre.
Luigi Cannata
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Documenti:
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16 nov 2008
Ente Promotore:
La Nuova Regaldi (Associazione Culturale Diocesana)
Ciclo di Incontri:
Dalla Lettera di san Paolo alla Diocesi di Novara...
don Silvio Barbaglia
La Lettera ai Romani è stata sovente incompresa nella sua autentica portata, anche a motivo di traduzioni non appropriate del testo originale greco. Una sua lettura più accurata consente un’interpretazione di alcuni passi critici, che risultano più coerenti con l’argomentare complessivo di san Paolo e fanno emergere con maggiore evidenza la salvezza donata in Cristo come autentico compimento della Torah donata a Mosè. La potenza di Dio così si manifesta non nel Vangelo – il lieto annunzio dell’apostolo (Rm 1,16) –, ma in colui che crede, per la sua salvezza; e la salvezza è data non per la fede “in” Gesù Cristo, ma per la fede “di” Gesù Cristo, il primo dei salvati, che siamo chiamati a imitare per credere nel Padre, grazie all’azione dello Spirito che Dio ci ha donato. Fede e opere delle fede sono inseparabili nella persona di Cristo e nella tradizione ebraica, e appaiono inseparabili anche nel pensiero di san Paolo. La separazione tra fede e opere, storica, storico tema di contesa teologica tra Cattolici e Protestanti, non sembra fondata sul testo della Lettera ai Romani, ma frutto di una sua interpretazione erronea.
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Audio:
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16 nov 2008
Ciclo di Incontri:
Dalla Lettera di san Paolo alla Diocesi di Novara...
don Silvio Barbaglia
La Lettera ai Romani è stata sovente incompresa nella sua autentica portata, anche a motivo di traduzioni non appropriate del testo originale greco. Una sua lettura più accurata consente un’interpretazione di alcuni passi critici, che risultano più coerenti con l’argomentare complessivo di san Paolo e fanno emergere con maggiore evidenza la salvezza donata in Cristo come autentico compimento della Torah donata a Mosè. La potenza di Dio così si manifesta non nel Vangelo – il lieto annunzio dell’apostolo (Rm 1,16) –, ma in colui che crede, per la sua salvezza; e la salvezza è data non per la fede “in” Gesù Cristo, ma per la fede “di” Gesù Cristo, il primo dei salvati, che siamo chiamati a imitare per credere nel Padre, grazie all’azione dello Spirito che Dio ci ha donato. Fede e opere delle fede sono inseparabili nella persona di Cristo e nella tradizione ebraica, e appaiono inseparabili anche nel pensiero di san Paolo. La separazione tra fede e opere, storica, storico tema di contesa teologica tra Cattolici e Protestanti, non sembra fondata sul testo della Lettera ai Romani, ma frutto di una sua interpretazione erronea.
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Video:
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16 nov 2008
Ciclo di Incontri:
Dalla Lettera di san Paolo alla Diocesi di Novara...
don Silvio Barbaglia
La Lettera ai Romani è stata sovente incompresa nella sua autentica portata, anche a motivo di traduzioni non appropriate del testo originale greco. Una sua lettura più accurata consente un’interpretazione di alcuni passi critici, che risultano più coerenti con l’argomentare complessivo di san Paolo e fanno emergere con maggiore evidenza la salvezza donata in Cristo come autentico compimento della Torah donata a Mosè. La potenza di Dio così si manifesta non nel Vangelo – il lieto annunzio dell’apostolo (Rm 1,16) –, ma in colui che crede, per la sua salvezza; e la salvezza è data non per la fede “in” Gesù Cristo, ma per la fede “di” Gesù Cristo, il primo dei salvati, che siamo chiamati a imitare per credere nel Padre, grazie all’azione dello Spirito che Dio ci ha donato. Fede e opere delle fede sono inseparabili nella persona di Cristo e nella tradizione ebraica, e appaiono inseparabili anche nel pensiero di san Paolo. La separazione tra fede e opere, storica, storico tema di contesa teologica tra Cattolici e Protestanti, non sembra fondata sul testo della Lettera ai Romani, ma frutto di una sua interpretazione erronea.
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