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Convegno catechistico diocesano |
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Documentazione evento:
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Audio:
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02 ott 2011
Maria Teresa Moscato
«L'educatore? È uno che lavora per... rendersi superfluo» - così Maria Teresa Moscato descrive, scherzosamente, l'esito di ogni percorso educativo, che mira alla crescita nell'autonomia. Un percorso che si gioca sulla relazione tra i ragazzi e le persone significative (genitori, insegnanti, catechisti, fratelli e amici più grandi), che essi tendono inconsciamente a imitare, identificandosi con esse. Il tutto si gioca in un orizzonte culturale, mutevole nel tempo, che oggi viene mediato sempre più dai media - tv e Internet - cui i giovani sono perennemente esposti, con pieno accesso ad aspetti della realtà da cui un tempo gli adulti potevano proteggerli. Sul fronte famigliare, le famiglie - meno solide di un tempo - sono indebolite nel loro ruolo educativo. I genitori separati, infatti, sono più arrendevoli e accondiscendenti verso i figli, che vorrebbero legare più a sé che all'altro coniuge. E i figli crescono minati nella fiducia in se stessi, perché il trauma della separazione di mamma e papà ha deluso la fiducia che riponevano nelle persone per loro più significative. Spesso poi sono figli unici, privi di dell'esperienza sociale precoce consentita dal rapporto con fratelli e con cugini coetanei. Per questo i bambini oggi non sono più capaci di autogestire le attività di gioco, e necessitano di un animatore che "insegni loro a giocare". E da adolescenti, privi del sostegno di famiglie rassicuranti, si appoggiano molto al gruppo dei pari. Che diviene anche il teatro in cui sperimentare le precoci esperienza sessuali, cui i media li spingono, all'insegna di una spontaneità guidata dalla logica del "fin che dura, dura", priva - anche in età adulta - di una chiara progettualità di vita a due. È questo il teatro in cui si gioca la presenza educativa delle comunità parrochiali. Spesso scelte dai genitori come agenzie economiche e sicure cui affidare i figli - a prescindere da serie motivazioni valoriali. Ma ogni occasioni è buona, se consente di famigliarizzare con i ragazzi, per tempi sufficientemente lunghi a costruire relazioni significative tra loro e con gli educatori. L'esperienza di gruppo e - quando è possibile - del rapporto a tu per tu con gli educatori, consentiranno ai ragazzi di crescere. Così sarà possibile educare i giovani alla fede. A patto, però, che la catechesi sia di qualità elevata, culturalmente difendibile e capace di toccare i problemi concreti della vita, impedendo che la fede si riduca a un insieme di riti in odore di superstizione, o che venga archiviata tra le esperienze infantili che non hanno più nulla da dire nella vita adulta. È la sfida che attende le comunità cristiane e - in prima linea - i catechisti.
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Video:
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02 ott 2011
Maria Teresa Moscato
«L'educatore? È uno che lavora per... rendersi superfluo» - così Maria Teresa Moscato descrive, scherzosamente, l'esito di ogni percorso educativo, che mira alla crescita nell'autonomia. Un percorso che si gioca sulla relazione tra i ragazzi e le persone significative (genitori, insegnanti, catechisti, fratelli e amici più grandi), che essi tendono inconsciamente a imitare, identificandosi con esse. Il tutto si gioca in un orizzonte culturale, mutevole nel tempo, che oggi viene mediato sempre più dai media - tv e Internet - cui i giovani sono perennemente esposti, con pieno accesso ad aspetti della realtà da cui un tempo gli adulti potevano proteggerli. Sul fronte famigliare, le famiglie - meno solide di un tempo - sono indebolite nel loro ruolo educativo. I genitori separati, infatti, sono più arrendevoli e accondiscendenti verso i figli, che vorrebbero legare più a sé che all'altro coniuge. E i figli crescono minati nella fiducia in se stessi, perché il trauma della separazione di mamma e papà ha deluso la fiducia che riponevano nelle persone per loro più significative. Spesso poi sono figli unici, privi di dell'esperienza sociale precoce consentita dal rapporto con fratelli e con cugini coetanei. Per questo i bambini oggi non sono più capaci di autogestire le attività di gioco, e necessitano di un animatore che "insegni loro a giocare". E da adolescenti, privi del sostegno di famiglie rassicuranti, si appoggiano molto al gruppo dei pari. Che diviene anche il teatro in cui sperimentare le precoci esperienza sessuali, cui i media li spingono, all'insegna di una spontaneità guidata dalla logica del "fin che dura, dura", priva - anche in età adulta - di una chiara progettualità di vita a due. È questo il teatro in cui si gioca la presenza educativa delle comunità parrochiali. Spesso scelte dai genitori come agenzie economiche e sicure cui affidare i figli - a prescindere da serie motivazioni valoriali. Ma ogni occasioni è buona, se consente di famigliarizzare con i ragazzi, per tempi sufficientemente lunghi a costruire relazioni significative tra loro e con gli educatori. L'esperienza di gruppo e - quando è possibile - del rapporto a tu per tu con gli educatori, consentiranno ai ragazzi di crescere. Così sarà possibile educare i giovani alla fede. A patto, però, che la catechesi sia di qualità elevata, culturalmente difendibile e capace di toccare i problemi concreti della vita, impedendo che la fede si riduca a un insieme di riti in odore di superstizione, o che venga archiviata tra le esperienze infantili che non hanno più nulla da dire nella vita adulta. È la sfida che attende le comunità cristiane e - in prima linea - i catechisti.
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