06 aprile 2006
Quando Cristo è scandaloso...
I Gesù di Pasolini, Zeffirelli e Gibson. «Tre volti entrati nell’immaginario collettivo. Tre film che hanno segnato tre generazioni». E’ il punto di partenza che don Silvio Barbaglia (referente per la Diocesi di Novara del Progetto culturale della Cei) ha individuato nella riflessione intorno a tre interpretazioni cinematografiche (“Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini, il “Gesù di Nazareth” di Franco Zeffirelli e “The Passion of the Christ” di Mel Gibson) proposta venerdì 31 marzo al cinema teatro Sacro Cuore di Novara nell’ambito di “Passio 2006”. Alcune assenze tra gli invitati chiamati a parlare di “Gesù Cristo ieri, oggi e sempre. Tre film, tre angolazioni, tre generazioni... ma di Lui si continua a parlare!”: Enrique Irazoqui, il Gesù di Pasolini («ci ha assicurato - ha detto don Silvio - che verrà a Novara il 3 maggio»); don Basilio Gavazzeni, consulente teologo del film di Gibson e la biblista Rosanna Virgili. Il talk show è risultato ricco di spunti di approfondimento, grazie ai presenti: il produttore del film di Pasolini Alfredo Bini; il critico cinematografico Enrico Danesi; l’attore Pedro Sarubbi che interpretava Barabba nel film di Gibson; Margherita Caruso, la giovane madre di Gesù (all’epoca aveva 14 anni) nel “Vangelo” di Pasolini; e il biblista don Silvio Barbaglia. A moderare il dibattito la giornalista di Rai 2 Lorena Bianchetti che, partendo dal «valore redentivo della sofferenza», ha interrogato gli ospiti sull’attualità dell’immagine di un Cristo in croce. Gli spezzoni dei film, uniti alla viva voce di chi ha visto nascere le opere di Pasolini e di Gibson, hanno permesso di individuarne i tratti distintitivi. In Pasolini «una fedeltà assoluta al Vangelo di Matteo, un taglio realistico, il bianco e nero funzionale alla messa in scena, il ritmo che accelera nel momento della Passione fissandosi sulla plasticità dei corpi - ha detto Danesi -. Quello di Cristo è un volto lontano dal tradizionale immaginario ascetico e più rispondente a elementi iconografici bizantini». Il “Vangelo secondo Matteo” per Bini era «la risposta di Pasolini a chi lo aveva condannato per “La ricotta”, la risposta di un uomo che era profondamente religioso. Pasolini voleva girare un film sulla parabola di Lazzaro, ma dopo aver letto il Vangelo di Matteo (che non riporta quella parabola!) cambiò idea. E fece il film per ripicca». Tra aneddoti e ricordi personali ancora Alfredo Bini: «Nessuna sceneggiatura, solo il testo del Vangelo, parola per parola. Fu accolto con sputi e insulti, solo i Gesuiti lo difesero, ma fu il secondo incasso dell’anno». Per la giovane Maria di Pasolini ebbe un grande merito, «nella scelta dei volti e dell’anima. Non era solo un suggeritore. Ti incoraggiava con lo sguardo, sapeva far emergere spontaneità e naturalezza. Era il nostro angelo custode. E noi le sue creature». Zeffirelli nel film «insiste sull’aspetto della comunicazione- ha spiegato Danesi -. Ha un’impostazione tradizionale, hollywodiana. Il regista cura la messa in scena, attraverso una compostezza che vuole mantenere in ogni momento e la dilatazione assoluta dei tempi narrativi».Tre film, due approcci diversi (...).
Eleonora Groppetti
Per la lettura integrale dell’articolo, rimandiamo il lettore all’edizione del 6 aprile 2006, in edicola fino al 7 aprile.
Nelle foto, la giornalista di Rai2 Lorena Bianchetti (a sinistra) e la Maria giovane di Pasolini, Margherita Caruso, al talk show “Gesù Cristo ieri, oggi e sempre”. Il pubblico presente al dibattito nel cinema teatro del Sacro Cuore (foto Tosi)