Quella «povertà» chiamata solitudine

 

Da Novara
Andrea Gilardoni

Un luogo dell'anima in cui fare chiarezza dentro se stessi, ma che può anche assumere il volto di una vertigine profonda di angoscia e sofferenza. Novara conclude il suo percorso di riflessione sui mille aspetti della fragilità umana - tappa di avvicinamento al Convegno di Verona, inserita nel progetto diocesano Passio 2006 - con una serata dedicata a quella che nella società della comunicazione è ancora uno delle forme più preoccupanti di debolezza: la solitudine. E lo fa seguendo tre approcci diversi: quello del pastore - il vescovo di Novara Renato Corti -, quello di chi è impegnato nel sociale - il direttore della Caritas georgiana padre Witold Szulczynski - e quello dello psichiatra, il professor Eugenio Borgna.
«La solitudine più terribile - ha detto Borgna - è quella del dolore, quella che esclude l'orizzonte della speranza. La "notte scura dell'anima" di cui parla san Giovanni della Croce". Una solitudine figlia dello sradicamento, "dall'essere sottratti dalle rete di relazioni che danno un senso, alla vita. È la condizione di chi ha subito un lutto e di chi è costretto in ospedale, fuori dalle dinamiche sociali di tutti i giorni. Ma anche quella del migrante, di colui che ha dovuto lasciare la propria casa, il proprio mondo». Ma c'è anche un altro tipo di solitudine. «È la solitudine che apre al mondo interiore, il rifugio dal chiasso dell'oggi, una ribellione al modello dell'homo faber, della cultura del fare, del correre».
Una finestra di lucidità che permette di guardare con serenità alla propria vita, che può arrivare anche da un'esperienza choccante. «Non dimenticherò mai - ha raccontato padre Szulczynski - quando fuori dal mio ufficio di Tiblisi ho trovato il cadavere di una donna morta di freddo e di stenti. Chiamai la polizia e dovetti aspettare ore prima di vederla portare via sul camion della nettezza urbana. Quello fu un inverno molto freddo, ma il ghiaccio che mi resta nel cuore è quello della solitudine che dovette provare quella donna negli ultimi giorni della sua vita».
Un'attenzione alla solitudine del prossimo che, per mons. Corti, diventa una responsabilità per la comunità ecclesiale. «Dobbiamo chiederci, la solitudine è un luogo della fragilità che vogliamo disertare? Il Vangelo ci chiede di essere presenti". Presenza cui chiama la stessa esperienza di Cristo. "Gesù visse entrambe le solitudini di cui parla il professor Borgna. Quella della riflessione e quella della disperazione della croce. Ma come dice Agostino nel commento al Salmo 85, condividendo con l'uomo la sua fragilità l'ha riscattata, le ha dato dignità, sino a salvare la fragilità suprema, la morte».