Madre Cànopi: «Con Wojtyla la malattia ha ritrovato un senso»

 

Da Novara Andrea Gilardoni

La diocesi di Novara ha scelto la figura di Giovanni Paolo II e la sua testimonianza di come la debolezza dell'uomo possa diventare speranza, per dare il via alle iniziative - incentrate proprio sulla fragilità umana - del progetto Passio 2006, in preparazione al Convegno ecclesiale di Verona. Venerdì sera il duomo della città piemontese era gremito per l'incontro con madre Anna Maria Cànopi, badessa del monastero Mater Ecclesiae dell'isola di San Giulio, lago d'Orta, e il vescovo Renato Corti, introdotti dal responsabile del Progetto culturale Cei Vittorio Sozzi e dal responsabile di Passio don Silvio Barbaglia.
«Dalla sua infanzia, con la perdita prematura delle persone care, alla sua missione come Papa, l'intera vita di Giovanni Paolo II potrebbe essere letta come una Via crucis», ha detto madre Cànopi. Una Via Crucis che di anno in anno, di viaggio in viaggio, lo ha portato a identificarsi sempre più con i deboli che incontrava. «Man mano che passava il tempo, non era più soltanto colui che si fermava accanto a tutte le croci dell'uomo di oggi, ma era lui stesso un uomo crocifisso». E lo si vedeva specialmente con i più piccoli. «Nell'abbracciare i bimbi, il viso del vecchio Papa e i loro avevano la stessa espressione di dolore innocente; spesso le loro lacrime si mescolavano, ed erano lacrime che lasciavano trasparire il sorriso dell'anima». Per madre Cànopi il Papa sportivo, mattatore di incontri con folle sterminate, «ha mostrato il senso della malattia, dando una risposta inconfutabile a quella scienza che presume di manipolare la vita, escludendo il più possibile la sofferenza».
Fragilità, quindi, quale elemento centrale per capire Wojtyla «sin dalla sua vocazione sacerdotale - ha aggiunto Corti -, nella quale un ruolo fondamentale lo hanno avuto le sofferenze e le difficoltà vissute nella Polonia invasa dai nazisti». Una sofferenza che non lo ha mai privato della gioia di vivere. «Conservo ancora intatto il gusto per la vita, ha scritto, quasi in confidenza, in una lettera agli anziani del 1999 - ha concluso il vescovo -. Un esempio del coraggio con cui seppe affrontare la sofferenza e viverla come speranza».