Corti: «Fragilità, dalla misericordia la vera speranza»

Il vescovo di Novara presenta il Progetto «Passio» 2006, apertosi nella diocesi piemontese, terza tappa del cammino verso il Convegno di Verona «Chiamati ad accogliere non solo sofferenze materiali ma anche quelle spirituali»

Da Novara Andrea Gilardoni

La continua tensione tra la dimensione della morte e quella della salvezza, le responsabilità della comunità cristiana di fronte alle realtà di bisogno più evidenti e quelle, meno visibili, che interessano lo spirito; infine le «fragilità» che connotano la stessa missione della Chiesa. Segue diverse strade la riflessione del vescovo di Novara, Renato Corti, a proposito del tema della fragilità umana che la diocesi piemontese mette al centro in questi giorni con il Progetto Passio 2006, terza tappa nel percorso di avvicinamento al quarto Convegno ecclesiale nazionale che si terrà a Verona dal 16 al 20 ottobre. Diversi percorsi per esplorare una delle realtà ineludibili della condizione umana.
La fragilità investe l'esistenza tutta e il destino stesso dell'uomo. Che cosa dice a questo riguardo la Sacra Scrittura?
«Il tema della fragilità attraversa tutte le Scritture, fin dalla Genesi. Dell'uomo viene detto che è fatto a immagine di Dio. Eppure nei Salmi si legge che è simile a un filo d'erba e al fiore che al mattino sboccia e alla sera appassisce. Le due affermazioni non si contraddicono, ma stanno a dire che quella realtà così debole ha una grande dignità. Le parole del Vangelo secondo Giovanni, "Il Verbo di Dio venne tra la sua gente" e "a quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio" fanno comprendere che non c'è creatura umana che non abbia una vocazione divina. Per puro dono di Dio la morte, suprema fragilità, è vinta».
Queste affermazioni sono molto distanti dai messaggi prevalenti nella cultura attuale...
«È vero. Ma il cristianesimo non è semplicemente una favola consolatoria. Lascia intatta la fragilità creaturale dell'uomo. Non toglie per nulla il dramma della vita di ognuno e di quella delle nazioni. Però Cristo risorto fa dei suoi discepoli uomini e donne abitati da una speranza prima ignota».
Novara ha scelto di iniziare il suo percorso di riflessione sulla fragilità umana partendo dalla testimonianza di Giovanni Paolo II (vedi l'articolo sotto). Come ricorda l'ultimo incontro con lui in occasione degli esercizi di Quaresima, che lei predicò in Vaticano nel marzo 2005?
«Mi sembra che quei giorni siano stati l'ultima settimana tranquilla prima della sua morte. Mentre il Papa scriveva in un certo senso la sua ultima enciclica, tutti eravamo chiamati a riflettere sulla testimonianza che egli ci offriva affrontando la sofferenza con quello stile straordinario che diceva fede e coraggio».
Qual è il messaggio che ci lascia oggi la sua grande testimonianza?
«Credo che oggi Giovanni Paolo II inviterebbe a coltivare lo sguardo dell'uomo di cui parla Luca nel suo Vangelo. Passando accanto a quel tale che, scendendo da Gerusalemme a Gerico, era incappato nei briganti che lo avevano spogliato e percosso, lo vide, ne ebbe compassione e lo aiutò».
Lo sguardo del samaritano: concreta sollecitudine verso la fragilità "materiale". Ma un aspetto meno evidente e oggi spesso dimenticato è quello della fragilità spirituale. Qual è il ruolo che è chiamata a svolgere la Chiesa?
«Credo che debba ricordare il comportamento di Gesù. Sono molte le pagine evangeliche che ce lo descrivono: ad esempio quella che narra quando si recò a pranzo nella casa del pubblicano Matteo. Quando i farisei lo criticarono lui intervenne in modo netto: "Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori". Ecco, quanto più la Chiesa leggerà se stessa come luogo della misericordia di Dio, essa saprà accogliere, come il padre del figliol prodigo, anche chi ha sbattuto la porta e se n'è andato via da casa».
Si può forse parlare di fragilità anche in riferimento alla missione stessa della Chiesa?
«Quando l'apostolo Paolo scrive dal carcere che "la parola di Dio non è incatenata" fa comprendere che la Chiesa dei martiri rimane il termine di paragone più significativo. Mai come in tali situazioni di fragilità largamente presenti oggi in varie nazioni, la Chiesa scopre quella forza interiore umanamente inspiegabile, che prende la forma della gioia e di una speranza invincibile».