Documentazione evento:
Il ruolo dei media nella società secondo il prof. Aroldi
I media: rassicuranti come orsacchiotti di peluche
Soglia di evasione senza rischi, confermano la nostra visione del mondo
Custodi e arbitri del senso comune. Questa la funzione che i media svolgono nel rappresentare la realtà e nell’informarci. Per capire i media e il loro ruolo nell’influenzare l’opinione pubblica —afferma il prof. Piermarco Aroldi, docente di Sociologia della comunicazione e dei media all'Università Cattolica del S. Cuore di Milano— è innanzitutto necessario porsi dal punto di vista di chi usa i media nel contesto della sua vita quotidiana. I media sono importanti perché alimentano l’ordinarietà, la ripetitività del nostro vivere e rendono possibile un’esperienza quotidiana dotata di senso e di ordine, anche quando sembrano sconvolgerla. Innanzitutto essi, con il loro racconto della realtà, sostengono e ricreano il senso comune, cioè tutte le nostre conoscenze acquisite, date per scontate. Infatti conoscenze che non abbiamo sperimentato direttamente, ci sembrano naturali, scontate e perfettamente condivise avendole acquisite attraverso i media. E paradossalmente in questo senso è più decisivo ciò che non viene detto dai media piuttosto che ciò che viene da essi esplicitato, perché i media danno per scontati presupposti, pregiudizi e stereotipi, che sono i saperi inconsciamente acquisiti dall’opinione pubblica. Ad esempio, quando negli anni ‘80 si è affacciato il problema dell'AIDS —un problema ancora sconosciuto per la maggioranza della popolazione—, i media nel dare una rappresentazione sociale della malattia hanno utilizzato il termine "Peste del 2000", agganciandosi a un sistema di conoscenze precedenti, con una serie di rimandi storici, culturali e stereotipi per spiegare il fenomeno. Comunicare informazioni dà per scontato una notevole quantità di nozioni, rispetto alle quali l'informazione rappresenta lo scarto, il passo in più che non sarebbe capito se non fosse condiviso tutto il bagaglio di conoscenze che è implicito “tra le righe” degli articoli di giornale.
Il senso comune non è però solo effetto dell’informazione diffusa dai media, ma anche causa e criterio normativo di ciò che leggiamo sui media stessi, come una sorta di criterio sotterraneo che li guida nel diffondere le notizie. Per spiegare questo fenomeno gli studiosi hanno elaborato la teoria della “spirale del silenzio”, secondo la quale, nell’usare i media per orientarci nel mondo, siamo spontaneamente portati a fare nostra l’opinione della maggioranza: l’opinione pubblica è “conformista” e le voci che cantano fuori dal “coro” dei media più diffusi tendono a sparire e a restare inascoltate come non degne di credibilità. Addirittura può accadere che a trionfare nei media e a candidarsi perciò a divenire opinione della maggioranza sia una notizia che corrisponda al pensiero di una minoranza. Questo accade se i media le danno un rilievo speciale, facendo sorgere nei lettori l’idea che la maggioranza della popolazione la condivida. Così è accaduto che, durante l'epidemia di aviaria del 2006, nonostante non ci fossero casi della malattia negli allevamenti di polli in Italia, il solo fatto che i media descrivessero l’allarmismo di parte della popolazione italiana ha modificato il comportamento degli Italiani nel consumo di carni avicole, facendone crollare progressivamente il mercato.
Anche quando diffondono notizie clamorose e fuori dalla norma, i media ottengono l’effetto di confermare il senso comune, secondo il principio per il quale “l’eccezione conferma la regola”. Informazione è , infatti, ciò che eccede la norma e esce dall’ordinario. Così paradossalmente, se leggo sul giornale che una mamma ha messo una dose di topicida nel latte della colazione figlio, questa notizia sconvolgente, presentata nella sua eccezionalità, ci riconferma nella normalità, e continuiamo ad avere fiducia nelle nostre mamme. Talvolta, però, di fronte a eventi di proporzioni troppo grandi e problematiche, il nostro senso comune può rimanere destabilizzato, mandando in crisi la sicurezza che abbiamo nell’ovvietà tranquillizzante della routine quotidiana. Che cosa succede allora? I media —afferma Aroldi— agiscono "come gli orsacchiotti di peluche per i bambini", uno strumento rassicurante, che ci consente di confidare di nuovo nell'ordinarietà della nostra vita.
Ormai senza i media ci sentiamo persi, perché costituiscono un canale privilegiato di conoscenze e di controllo del mondo in cui viviamo. Così, i palinsesti della televisione e della radio esercitano un ruolo fondamentale nell'organizzazione della nostra giornata: le nostre abitudini si stratificano in una serie di regolarità, strutturandosi sull'offerta televisiva. Ma i media alimentano la condivisione del tempo anche dell'intera collettività nazionale, diventando così strumento ed espressione dei poteri economici, politici e culturali che organizzano il calendario, le festività e orientano il senso comune nella percezione del significato del tempo, fino a diffondere e legittimare la celebrazione di feste che non hanno radici nella nostra tradizione, come Halloween, finalizzate a puri scopi commerciali. In questo senso si può affermare che i media hanno svolto un'azione di unificazione culturale nazionale.
Come si pongono, infine, i media di fronte all'evento fantastico o eccezionale? Innanzitutto ci mettono a portata di mano il mondo fantastico, che ci trasporta fuori dall'ordinario, consentendoci, senza rischi e pericoli, di fare esperienza di un'altra vita possibile, per poi restituirci alla vita quotidiana. Una sorta di salto nell’eccezionale, per ritornare alla regola rassicurante della nostra vita. Così anche gli eventi mediali che si ripetono ciclicamente (come i campionati del mondo di calcio) sono celebrati come vere e proprie cerimonie, sorta di riti collettivi, in cui gli spazi delle case degli italiani si ridefiniscono per consentire di assistervi tutti insieme, e da cui le interruzioni pubblicitarie sono bandite o limitate. E che cosa succede quando l'irruzione di notizie di catastrofi —i cosiddetti “shock events”— stravolge i palinsesti della tv e quindi le nostre abitudini? Pensiamo all'11 settembre 2001, quando il terrorismo ha invaso i nostri salotti, si è insinuato di prepotenza nel nostro clima famigliare, seminando paura e facendo crollare tutte le nostre sicurezze. Il ruolo dei media in tale occasione è stato quello di raccontare, senza amplificare il terrore, riproponendo in continuazione, in una prima fase, le immagini delle torri distrutte, come una sorta di “massaggio lenitivo” che fa passare il male, e che è servito a far metabolizzare l’accaduto. In un secondo tempo, però, le immagini della tragedia sono gradualmente sparite ed è ritornato il palinsesto a ripristinare l'ordinarietà. Così l'”orsacchiotto di peluches” mediatico ha di nuovo svolto il suo compito rassicurante.
Questa è la grande dialettica con cui i media ci affascinano: lo schermo è una soglia che ci permette di vedere cosa c'è dall'altra parte per poi tornare alla normalità, perché abbiamo fatto un'esperienza in più, senza correre rischi. Una grande sfida del nostro tempo, anche a livello educativo, sta appunto nell’acquisire la consapevolezza e il controllo delle infinite soglie che i media ci presentano: finestre aperte su realtà da conoscere ma anche via di fuga che ci sottraggono all’impegno e alla responsabilità che dobbiamo esercitare nella nostra vita concreta.
Cristiana Popoli
Corso inMEDIA
Presenze (n. 52)
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