Documentazione evento:
DOMINIQUE LAPIERRE: “ABBIATE IL CORAGGIO DI CAMBIARE L’INGIUSTIZIA”
A Novara il giornalista e scrittore francese ripercorre le tappe del proprio impegno a favore degli ultimi. Sulle orme di Madre Teresa di Calcutta.
La voce di Asaripal – l’uomo cavallo - è un campanellino che tintinna in un duomo di Novara stracolmo. Il campanellino che Asaripal usava, a Calcutta, per richiamare i passeggeri, i clienti del suo risciò. Poche rupie, il minimo per sopravvivere. Quel campanellino e quella voce sono nelle mani e nella voce di Dominique Lapierre, protagonista del primo dei talk show promossi dal Progetto Passio 2010 e dedicato al tema “Avevo fame... e mi avete dato da mangiare”.
Lapierre – giornalista, autore del bestseller La città della gioia” e testimone diretto dell’opera di madre Teresa di Calcutta – ripercorre la storia del suo impegno per gli ultimi, proprio a partire da quella città di Calcutta, in India, dove scopre da giornalista, quasi trent’anni fa, la povertà assoluta e la voglia di combattere una battaglia di giustizia “Non bastava – dice – essere un autore di best seller. Era più importante essere capace di cambiare le ingiustizie”. Una battaglia non violenta che gli “insegnano” prima Gandhi, poi Madre Teresa, poi James Stevens – un commerciante inglese che dà tutto ai poveri di quella megalopoli di 12 milioni di abitanti e fa nascere la “Città della gioia”, un luogo che raccoglie gli ultimi, i più poveri. Un luogo che diventa un reportage e un libro che scuotono le coscienze europee. E diventa “missione” per Lapierre e la moglie Dominique che fondano un associazione per i bambini dei lebbrosi di Calcutta e diventano voce di chi non ha voce.
Perché la scoperta di quell’infermo di povertà è sconvolgente, e insieme paradossale: “In quell’inferno – ricorda Lapierre – trovai più gioia, più sorrisi che in molte metropoli del nostro mondo occidentale. E mi sorprese, una mattina – proprio in quell’inferno – il suono di strumenti suonati a festa: suonavano per festeggiare l’arrivo della primavera. In un luogo in cui non c’era né un albero né un fior. Gente che non aveva più nulla, ma che sembrava avere tutto, perché non aveva perso la capacità di sorridere”. Come Asaripal, l’uomo “cavallo”, come tante altre persone incontrate e che Lapierre chiama “fratelli” e segnano la sua scelta per gli ultimi. Per loro non chiede soldi, non direttamente. Chiede – nel corso della serata alla quale partecipano anche don Silvio Barbaglia, promotore del Progetto Passio, il vescovo di Novara, Renato Corti e l’attore Gianni dal Bello con alcune letture - che il nostro mondo abbia il coraggio di guardarli. E sono uno schiaffo le cifre che quasi grida nel suo italiano che l’accento francese rende più forte: 2 miliardi di persone senza accesso all’acqua, 1 miliardo e 300 milioni che sopravvivono con meno di un euro al giorno, 300 milioni di bambini senza istruzione. “Difficile accettare tanta ingiustizia – dice – E allora dobbiamo meditare per chiederci come correggere questa situazione”. E torna sull’esempio di Madre Teresa di Calcutta, la sua decisione di lasciare il suo abito di religiosa - insegnante in una scuola “bene” - per un sari bianco bordato d’azzurro e di “andare a trovare i poveri lì dove ci sono”, la sua convinzione che “tutti possiamo fare qualcosa per rendere il mondo un po’ più giusto”. Perché dice Lapierre ricordando un proverbio indiano “Tutto ciò che non viene dato va perduto”, citando ancora Madre Teresa di Calcutta e il suo “La vita è vita, difendila”. Il dare di Lapierre, intanto, non si ferma: ai poveri i diritti dei suoi libri, per loro ha aperto scuole, decine di dispensari contro la lebbra e la tubercolosi, ha aperto pozzi di acqua potabile, realizzato quattro battelli ospedale per raggiungere anche le comunità più piccole lungo il Gange. Un impegno che lo stesso governo indiano gli ha riconosciuto con una onorificenza di Stato.
Oggi il suo lavoro prosegue, non solo in India. In Sud Africa, a Città del Capo incontra Helen Lieberman “un’altra eroina sconosciuta”. Lei, bianca, che lavora per i bimbi neri. Incontra Nelson Mandela. E a loro dedica “Un arcobaleno nella note”, l’ultimo libro, la storia di una Nazione che si scopre libera e accetta come ricchezza le proprie diversità. E proprio pensando al Sudafrica, Lapierre confessa il suo unico rammarico di oggi. Dietro il quale si nasconde forse una nuova sfida “Peccato – conclude – che Israele e Palestina non abbiano oggi una Helen Lieberman o un Nelson Mandela, per diventare una nazione arcobaleno”.