Documentazione evento:
SALUTE E SALVEZZA, TRA TECNICA MEDICA E "ASCOLTO" DELLA PERSONA
Medici ed esperti a confronto all'Università di Novara
La malattia? Una parte essenziale dell’esperienza umana. Da affrontare confidando in una “tecnologia” medica posta unicamente al servizio del paziente e da vivere con la capacita’ di “ascoltarsi” nel profondo, accettando anche l’irrazionale. E’ la “ricetta” emersa nell’incontro “La malattia e la paura. La speranza di vita tra salute e salvezza”, svoltosi giovedì 4 marzo a Novara, nell’Aula Magna dell’università Amedeo Avogadro, nell’ambito del progetto Passio 2010, e realizzato a cura di TERA - Fondazione per Adroterapia Oncologica. Un incontro rivolto ai giovani di Novara (numerosa in particolare la delegazione di studenti dell’Istituto tecnico industriale Omar), e che ha affrontato il rapporto tra cura e tecnologia, tema che – ha precisato il conduttore Mauro Miserendino, giornalista esperto di tematiche scientifiche – “è di importanza primaria per cogliere le sfide in atto nel futuro della medicina”. “La tecnica medica – ha detto Eugenio Torre, ordinario di psichiatria e direttore del dipartimento psichiatrico dell’Ospedale Maggiore della Carità di Novara – consente di contrapporsi all’ineluttabilità della malattia, e, grazie al suo progresso, offre una speranza al paziente, chiamato ad ascoltare le sue domande irrisolte sul senso di ciò che gli sta accadendo e a nutrirsi di una speranza che lo tiene ancorato alla vita, ma nello stesso tempo lo proietta in un futuro, che crede migliore”.
Di speranza e fiducia nei progressi della tecnica ha parlato anche Giorgio Balzarro, medico e manager di strutture sanitarie, secondo il quale il medico ha l’obbligo di conoscere a fondo le tecnologie e non può permettersi di ignorarne i progressi, senza pregiudicare l’efficacia della sua azione. Ma anche il paziente deve esigere la migliore tecnologia disponibile, perché – tra l’altro – il mancato utilizzo delle tecniche più avanzate è un fattore che deprime il progresso e crea l’alibi per giustificare il taglio di investimenti in ricerca. L’uso della tecnica non esaurisce però l’approccio al paziente. Il caso più evidente è dei bambini gravemente malati. Perché lo sviluppo della tecnica ha aperto nuovi orizzonti a bimbi segnati da malattie potenzialmente mortali, ma – è il parere di Maria Pia Massaglia, docente di neuropsichiatria infantile – “la fiducia cieca in essa non ci deve sottrarre all’accompagnamento del bambino nella sua esperienza di sofferenza legata alla malattia”. Anche la clown-terapia, usata in molti ospedali per ridonare il sorriso ai piccoli malati, “va utilizzata a piccole dosi, e non per mimetizzare la realtà del dolore”. Il bambino malato attende infatti un incontro umano autentico con il medico e i volontari, “per un confronto aperto e sincero su ciò che la vita presenta e per vivere al meglio ciò che gli resta da vivere”.