Documentazione evento:
I rappresentanti della Caritas e della comunità di Nomadelfia al talk show di Passio 2010
UNA CIVILTÀ NUOVA IN CUI NESSUN UOMO È PIÙ NEMICO MA FRATELLO
L’insegnamento evangelico dell’accoglienza è una risposta alle sfide dell’immigrazione e della società multiculturale
Costruire una civiltà nuova, nella quale nessun uomo sia più straniero e nemico, ma fratello dell’ “altro” . È la sfida che la società italiana è chiamata ad accettare per non essere impreparata di fronte ai problemi di integrazione legati alla crescente presenza di immigrati che - dagli attuali 4,5 milioni, quasi il 7% della popolazione - sono destinati a raddoppiare nei prossimi anni. Un obiettivo che può essere raggiunto se si mette in pratica l’insegnamento evangelico dell’accoglienza e dell’amore verso il “nemico” e se ci si impegna ad attuare una società multiculturale e aperta alla fratellanza. È l’appello che Oliviero Forti, responsabile dell’Ufficio immigrazione della Caritas, Sandro di Nomadelfia, dell’omonima comunità fondata sul Vangelo, e il biblista don Silvio Barbaglia hanno lanciato nel corso del talk show dal titolo “Ero straniero e mi avete accolto. Dov’è tuo fratello? La domanda imbarazzante di Dio”, che si è svolto martedì sera al seminario San Gaudenzio di Novara nell’ambito di Passio 2010. Arte e cultura attorno al mistero pasquale.
«L’immagine che ci siamo costruiti degli immigrati – ha osservato Forti – non corrisponde alla realtà: nonostante il tasso di criminalità sia diminuito in Italia negli ultimi tempi, la percezione dell’insicurezza legata alla presenza degli stranieri è aumentata. Il comportamento che spesso viene stigmatizzato riguarda solo alcuni immigrati, ma tutti ne pagano il prezzo e questo ha avvelenato il clima». Da parte loro, gli immigrati si sentono penalizzati da una burocrazia farraginosa, che costringe anche chi ha un lavoro regolare e un alloggio a rinnovare il permesso di soggiorno ogni due anni, determinando una forte precarietà: se, in questi tempi di crisi, il capofamiglia perde il lavoro – e non vede quindi rinnovato il proprio permesso di soggiorno – tutto il nucleo è costretto a tornare in patria, compresi i figli, immigrati di seconda generazione, che si sentono italiani a tutti gli effetti, ma sono privi per legge della nazionalità italiana.
Anche per questo, secondo Forti, il fenomeno immigrazione non può essere gestito con singole iniziative o semplici ordinanze: «i respingimenti di stranieri che risultati hanno avuto? Quanti sanno che la gente respinta si trova ora nelle carceri libiche in condizioni disumane? Non si risolve il problema spostandolo più a sud». Occorre invece aprirsi all’integrazione e all’accoglienza, come dimostra l’esperienza in corso a Nomadelfia: «per noi l’accoglienza è un fatto fondamentale dell’essere uomo, dell’essere persona, riconoscendosi figli di uno stesso Padre e quindi fratelli» ha detto Sandro, spiegando come nella comunità si vive la fraternità nella famiglia praticando la povertà, uno stile di vita sobria e una genitorialità allargata, nella quale i figli non sono proprietà dei genitori ma «figli di Dio».
Don Silvio Barbaglia, infine, ha illustrato due celebri passi del Vangelo – quello di Gesù in cammino con i discepoli di Emmaus (Lc.24,13-35) e la parabola del buon samaritano (Luca 10, 25-37) – che danno risposta all’interrogativo fondamentale dell’uomo: «chi è il mio prossimo?». Il biblista ha sottolineato che «l’amore per il proprio nemico è la “bomba atomica” del messaggio cristiano»: «il “prossimo” della parabola è Gesù che prende le fattezze dello straniero, del nemico per eccellenza, che, inaspettatamente, è colui che si prende cura di te nel momento del bisogno. E noi siamo chiamati a imitare Gesù».