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XIV CONVEGNO DI STUDI NEOTESTAMENTARI E ANTICOCRISTIANISTI
(Assisi, 8 - 10 settembre 2011)
CARISMI, DIACONIA E MINISTERI DAL I AL II SEC.
Giovedì 8 settembre 2011
- 9,00 Saluto del presidente dell’ABI (Luca Mazzinghi)
- Introduzione al tema (Giuseppe Bellia)
- 9,30 I Dodici: origini, ruolo, scomparsa (Jacques Schosser)
- 10,30 Pausa
- 11,00 La chiesa di Gerusalemme nel libro degli Atti: Pietro, Giacomo, Apostoli e Presbiteri (Giorgio Jossa)
- 11,45 Discussione
- 13,00 Pranzo
- 16,00 Le figure ministeriali fuori di Gerusalemme nel libro degli Atti (Augusto Barbi)
- 16,45 Le figure ministeriali nelle lettere paoline indisputate: Apostoli, Profeti e Maestri (Stefano Romanello)
- 17,30 Pausa
- 18,00 Discussione
- 20,00 Cena
Venerdì 9 settembre 2011
- 9,00 L’episcopo, i presbiteri e i diaconi nelle lettere pastorali (Yann Redalié)
- 9,45 Discussione
- 10,30 Pausa
- 11,00 L’organizzazione ecclesiale in Ignazio (Carlo Dell'Osso)
- 12,00 Discussione
- 13.00 Pranzo
- 14,00 Escursione
- 17,30 Assemblea (consuntivo e programmazione)
- 20,00 Cena
Sabato 10 settembre 2011
- 9,00 La successione apostolica in Clemente ed Ireneo (Enrico Cattaneo)
- 9,45 Presenza e persistenza dei ruoli carismatici (Enrico Norelli)
- 10,15 Discussione
- 10,45 Pausa
- 11,00 Tavola rotonda e sintesi conclusiva
- 13,00 Pranzo
Foto dei partecipanti al convegno
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Sono stati trovati 14 audio
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08 set 2011
Ciclo di incontri:
Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani
Luca Mazzinghi
Luca Mazzinghi portando il saluto ai presenti legge un brano a conclusione della Lettera ai Romani (Rm 16,1-16). Febe, diaconessa della Chiesa di Cencre, Prisca e Aquila forse non solo collaboratori in senso generico e altri ruoli qui enumerati. Di tutto questo si parlerà con importanti esperti qui presenti come relatori.
Don Luca Mazzinghi coglie anche l'occasione per salutare il past-president don Rinaldo Fabris.
Mazzinghi ricorda che l'ABI ha due ambiti, l'AT e il NT e ogni due anni si tengono convegni dedicati sia all'AT come al NT. L'ABI si fa carico dell'organizzazione di questi convegni anche se essi hanno uno statuto autonomo. Questo permette di lavorare in modo interdisciplinare tra competenze diverse sia per AT come per NT. L'ABI per statuto fa parte della Chiesa Cattolica secondo lo Spirito del Vaticano II ("finché sarò presidente difenderò con i denti l'affermazione 'secondo lo Spirito del Concilio Vaticnao II'").
Conclude il saluto affermando che questi convegni sono il cuore dell'attività dell'ABI, questi convegni, la settimana biblica e le pubblicazioni scientifiche.
Richiamo del lavoro come esegeta: il principio di Dei Verbum 13: sunkatabasis, la condiscendenza di Dio. Per sua natura l'esegesi deve avere una dimensione critica e storica, richiesta dalla verità dell'incarnazione: "Parola fatta carne". Giovanni Paolo II afferma: "la Chiesa di Cristo prende sul serio larealtà dell'incarnazione ed è per questa ragione che attribuisce grande importanza all'esegesi storico critica" (citazione a memoria).
Il fatto che siamo ad Assisi porta a dire che san Bonaventura trasmise la sua biografia, e Sabatier riscoprì l'interpretazione più autentica di Francesco rispetto alla vulgata ecclesiale allora diffusa. Quello che oggi sappiamo di Francesco lo sappiamo non grazie a Bonaventura ma grazie alle altre interpretazioni tra cui Tommaso da Celano. Analogamente all'operazione storico-critica sui testi biblici. Per il fatto stesso di essere storica e critica è teologica, in virtù dell'incarnazione. Il nostro lavoro non è tempo perso, non è mai tempo perso!
Ultimo aspetto: le ricadute di questo lavoro sulla vita della Chiesa sono più che evidenti: produrre risultati di ricerca, lasciandoci interrogare noi stessi dalla ricerca messa in atto. Mazzinghi ringrazia quindi gli organizzatori del convegno, la segreteria e la casa che accoglie. Lo stile della partecipazione è sollecitata e rivolta a tutti.
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08 set 2011
Ciclo di incontri:
Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani
Jacques Schlosser
Dans l’exégèse moderne, les Douze appelés par Jésus ont retenu l’attention des exégètes particulièrement vers le milieu du siècle dernier, en lien avec l’émergence de la Redaktionsgeschichte. Plus récemment, l’intérêt pour le thème s’est déplacé sous l’influence de la recherche historique relative à Jésus dont la dernière phase, la troisième quête, a réinséré plus fortement Jésus dans la mémoire et dans les attentes de son peuple.
Notre démarche commencera par la présentation du dossier textuel. Parce ce 1 Co 15,5-7 constitue l’attestation la plus ancienne du thème, nous insisterons d’abord sur ce texte. Nous présenterons ensuite, mais rapidement, les attestations évangéliques, en soulignant la variété des expressions et en insistant sur le témoignage fondamental de Marc.
La dimension historique de notre sujet invite à voir de plus près le petit récit sur la constitution du groupe par Jésus (Mc 3,13-16 et parallèles) pour en dégager la visée. À cet égard, les fameux catalogues que les rédacteurs ont soudés au récit sur la constitution du groupe offrent plusieurs traits illustrant la nature du projet de Jésus. Fortement contestée dans son historicité pendant une longue période, l’initiative de constituer ce groupe est actuellement attribuée massivement au Jésus de l’histoire, comme le montre un bref aperçu sur la recherche récente qui enregistre également la discrétion du rôle joué par les Douze dans l’Eglise primitive.
Le rôle et la signification des Douze font l’objet de la partie finale de notre exposé. L’histoire du groupe fait qu’il relève à la fois du ministère de Jésus et de l‘Église naissante. En ce qui regarde le premier aspect, un aperçu limité mais substantiel sur la tradition juive et plus précisément sur son espérance eschatologique permet d’identifier le choix des Douze par Jésus comme un geste prophétique répondant à l’attente du peuple de Dieu. Selon F. Mussner, Jésus aurait réagi au refus manifesté à son égard par ses contemporains en reconsidérant la fonction des Douze dans la perspective de l’Église à venir. Cette thèse est difficile à admettre en tant que telle. On peut néanmoins en retenir que les Douze expriment l’enracinement de l’Église dans l’Ancien Testament et valident du même coup la fiabilité de la promesse.
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08 set 2011
Ciclo di incontri:
Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani
Giorgio Jossa
Il tema Pietro e Giacomo ha importanti risvolti teologici. Ed è questo che spiega l’interesse attuale degli studiosi per la figura di Giacomo. Ma la mia relazione affronta il tema dal solo punto di vista storico.
Il punto di partenza è l’affermazione di Luca nel cap. 8 degli Atti degli Apostoli, secondo cui quella che egli definisce la persecuzione giudaica della chiesa di Gerusalemme colpì tutta la comunità tranne gli apostoli. Sembra impossibile che con questa affermazione Luca voglia dire che a rimanere a Gerusalemme furono proprio i dodici. Non è vero infatti che col termine di apostoli egli intenda sempre i dodici. Più probabilmente egli pensa qui a un gruppo più vasto, legato in particolare a Giacomo. E questo gruppo sarebbe composto prevalentemente da quegli Ebrei che, guidati appunto da Giacomo, si sarebbero aggiunti in un secondo momento alla prima comunità dei discepoli. E che per la loro rigorosa fedeltà alla legge mosaica a differenza degli Ellenisti erano tollerati dalle autorità giudaiche.
L’ipotesi può apparire stravagante, ma appare confermata da alcuni passi di Paolo. Nel cap. 15 della Prima lettera ai Corinzi Paolo ricorda che Gesù apparve prima a Pietro e ai dodici, poi a Giacomo e a tutti gli altri apostoli. Esiste dunque per lui un gruppo di apostoli più largo di quello dei dodici, costituito da destinatari delle apparizioni di Gesù. E quando nel cap. 1 della Lettera ai Galati Paolo afferma che, alla sua prima visita a Gerusalemme, oltre Pietro non vide altri apostoli se non Giacomo fratello del Signore, egli non pensa ai dodici, ma a questo gruppo più largo di destinatari delle apparizioni di Gesù. Credo perciò che quando Luca racconta che in quella occasione Barnaba condusse Paolo dagli apostoli non intende i dodici bensì proprio Pietro e Giacomo.
Questo gruppo più largo di apostoli, caratteristico della prima generazione di discepoli, cede però abbastanza presto il posto a un nuovo gruppo di autorità locali: i presbiteri. Se al concilio di Gerusalemme i personaggi più autorevoli accanto a Pietro e Giacomo sono ancora gli apostoli e i presbiteri, nell’ultima visita di Paolo a Gerusalemme egli con Giacomo non incontra più gli apostoli, ma soltanto i presbiteri.
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08 set 2011
Ciclo di incontri:
Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani
Un ampio e articolato dibattito si è svolto attorno alle due relazioni della mattinata.
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08 set 2011
Ciclo di incontri:
Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani
Augusto Barbi
- Premesse: Luca non tematizza il motivo dei ministeri, ma offre preziosi elementi di informazione e di riflessione su di essi. Tali elementi sono inquadrati nella prospettiva più ampia della continuità dell'annuncio cristiano e della continuità delle epoche storico-salvifiche. Poiché la narrazione lucana è una rilettura della storia della chiesa primitiva dall'orizzonte dell'esperienza ecclesiale di Luca, occorrerà operare un'analisi storico-critica dei testi per stabilire le tradizioni utilizzate e la loro rielaborazione redazionale.
1. “Profeti e dottori” nella chiesa di Antiochia (At 13,1-3)
At 13,1 presenta una lista di 5 persone, proveniente da un'antica tradizione antiochena, che verosimilmente costituivano il collegio di presidenza della chiesa di Antiochia. Anche i titoli di “profeti e dottori”, ad esse attribuiti, sono da far risalire alla tradizione. Se si tiene conto della qualifica di “apostoli” data a Paolo e Barnaba (At 14,4.14), anch'essa frutto di una tradizione antiochena, siamo di fronte ad una triade di ministeri (apostoli-profeti-dottori) che è la stessa presentata da 1Cor 12,28, testo anch'esso di origine tradizionale, probabilmente antiochena. La convergenza delle due tradizioni fa pensareche At 13,1 sia testimone di una struttura ministeriale di tipo carismatico a capo della comunità antiochena delle origini e che la triade ministeriale, attestata dalle due tradizioni, fosse rilevante per le chiese di influenza antiocheno-paolina. Per quanto concerne invece la cerimonia liturgica dell'invio di Paolo e Barnaba (At 13,2-3), un'analisi dello stile e dei motivi fa propendere per una forte rielaborazione lucana, con la quale Luca ha voluto rappresentare ai lettori del suo tempo l'unico dato tradizionale, quello dell'invio dei due missionari da parte della chiesa antiochena.
Poiché Luca non ci offre ulteriori delucidazioni, è piuttosto problematico stabilire con precisione le funzioni attribuite a questi “profeti e dottori”. Verosimilmente gli ambiti di esse si sovrapponevano: la profezia si esprimeva maggiormente nell'annuncio carismatico della volontà del Signore nella concreta situazione, mentre all'insegnamento si doveva la cura e l'interpretazione della tradizione.
2. Il collegio dei presbiteri nelle chiese della missione paolina
I testi che entrano in questione sono At 14,22-23 e il discorso ai presbiteri di Mileto (At 20,17-35): due passi che hanno una singolare collocazione nella strategia narrativa lucana e che configurano una situazione di congedo di Paolo dalle chiese fondate, ora lasciate ad un'esistenza autonoma, senza la guida del fondatore.
La questione principale che questi testi pongono è la presenza alla guida delle chiese locali di un collegio di presbiteri già al tempo della missione paolina, mentre Paolo, pur conoscendo funzioni di guida, non fa mai menzione dei presbiteri. Luca possiede questo dato da tradizioni antiche oppure opera un anacronismo, retroproiettando una situazione del suo tempo? Se opera un anacronismo, con quale intenzionalità teologica lo fa?
Per il testo di At 14,22-23 la critica letteraria evidenzia un forte lavoro redazionale lucano e non risulta convincente il tentativo di ricostruire dietro ad esso degli elementi tradizionali. Inoltre, la collocazione del passo e la prospettiva che da esso si evidenzia orientano verso quella situazione caratteristica del tempo subapostolico che verrà ampiamente sviluppata nel discorso di Mileto.
Sulla funzione dei presbiteri il testo lascia intravedere indirettamente il compito di conservare e trasmettere la fede, intesa come contenuto della tradizione apostolica, perché i credenti rimangano saldi nelle situazioni di “tribolazioni” che si profilano per il tempo della chiesa dopo la scomparsa di Paolo.
Anche sulla modalità della costituzione dei presbiteri, il linguaggio lucano è sobrio: da una parte, è accennata la designazione ad opera dei fondatori, dall'altra la raccomandazione dei presbiteri al Signore mette in luce la potente iniziativa a cui sono sottomessi e di fronte alla quale rispondono dell'esercizio del loro ministero.
Nel discorso di Mileto, - che ci interessa principalmente nella parte successiva all'annuncio della dipartita di Paolo (At 20,25-31 e 32) - vengono più ampiamente sviluppati il fondamento e la funzione del ministero dei presbiteri. Paolo, in quanto ultimo dei testimoni, lascia in eredità ai presbiteri la tradizione apostolica - in continuità con l'annuncio di Gesù – nella sua autenticità e completezza (cf. in particolare vv. 25-27). Il loro compito – delineato nelle esortazioni a “fare attenzione” (v. 28a), a “vigilare” (v. 31); nella finalità di “pascere” il greggee nella loro funzione di “episkopoi” (v. 28b) – è soprattutto quello di garantire e mantenere viva la paradosis apostolica, a loro consegnata da Paolo, di fronte alla minaccia di deviazioni da essa e di conseguenti divisioni ecclesiali che si profilano per il tempo subapostolico. Ma il punto teologico più alto è costituito dal v. 28, dove il fondamento del ministero presbiterale è ricondotto all'iniziativa dello Spirito ed è responsabilizzato, nel suo esercizio, di fronte a Dio, a cui appartiene la chiesa che sono chiamati a guidare e alla morte salvifica di Cristo, strumento del suo acquisto. L'affidamento dei presbiteri a Dio (v. 32) non fa che rimarcare l'iniziativa divina all'origine e al fondamento del ministero dei presbiteri.
L'analisi di questi testi ci porta almeno a tre considerazioni conclusive sull'intenzionalità teologica lucana.
- retroproiettando nel tempo paolino l'istituzione dei presbiteri, Luca intende unificare l'immagine delle chiese paoline con quella della chiesa madre di Gerusalemme e ancor più vuole evidenziare il legame di continuità del collegio presbiterale – affermatosi ormai nelle chiese del suo tempo – con i testimoni qualificati (i Dodici e Paolo) dell'era apostolica.
- Senza negare la componente umana nell'istituzione dei presbiteri, Luca sottolinea ancora la componente pneumatico-carismatica di tale ministero (verosimilmente sulla scia della tradizione paolina). Mentre, infatti, legittima, mediante l'aggancio alle figure fondatrici, la progressiva istituzionalizzazione del ministero presbiterale nel suo tempo, non intende perdere la sua fondamentale qualifica pneumatologica.
- Luca precisa la funzione del ministero dei presbiteri, non solo con il compito di assicurare e garantire la tradizione apostolica, ma anche con quello di dedicarsi, sul modello di Paolo, al multiforme annuncio del kerygma, che in quella tradizione si rende disponibile con la sua forza salvifica e i suoi effetti di edificazione della comunità. Ma a questa funzione che concerne la “parola di grazia”, devono associarsi la cura pastorale e le condizioni di credibilità dell'annuncio, delle quali Paolo è stato esempio (At 20,33-35).
3. Altre figure ministeriali
Un accenno va fatto anche alla qualifica di “profeti” che alcuni personaggi del racconto lucano ricevono: Agabo (At 11,27; 21,10), Giuda Barsabba e Sila (15,32) e le figlie di Filippo che profetizzano (At 21,9), come pure al titolo di “evangelista” che viene associato a Filippo (At 21,8).
- In alcune osservazioni conclusive cercheremo di raccogliere i limiti e il valore delle informazioni lucane sui ministeri, la prospettiva in cui Luca si interessa ad essi e soprattutto la condizione di transizione che Luca testimonia nello sviluppo dei ministeri.
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08 set 2011
Ciclo di incontri:
Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani
Stefano Romanello
Paradigma odierno determinato dall’apprezzamento, di carattere storiografico, della natura
sociologica delle prime comunità. Le prime comunità cristiane dovevano apparire agli occhi dei contemporanei del tutto equivalenti ai raduni delle associazioni volontarie che, radunandosi nelle case, è impensabile non tenessero conto della struttura familiare antica fortemente gerarchizzata, e dell’autorità in essa esercitata dal paterfamilias che, aprendo la propria casa a tali incontri, sercitava sugli ospiti una funzione di patronato, divenendo con ciò stesso punto di riferimento all’aggregazione da lui ospitata. In breve: non si può comprendere la natura delle prime comunità cristiane a prescindere dalla loro caratteristica di associazione, dalla struttura familiare che, ospitandole, proietta su esse la suddivisione gerarchica dei suoi membri, e dall’istituto del patronato che, di fatto, si viene così a creare, e dal quale non erano escluse le donne. I vari raduni dei credenti in Cristo, pertanto, avrebbero riprodotto quelle strutture sociali proprie alla loro società, secondo un naturale processo di inculturazione, ivi comprese anche le strutture gerarchiche familiari. Già negli anni ’90 diversi studi convergevano su questi dati fondamentali, tanto da ipotizzare un consenso del mondo accademico su questo nuovo paradigma interpretativo. Problema: sembra prudente postulare una dipendenza totale e acritica dei primi credenti in Cristo da dette dinamiche? Per rispondere alla domanda, la presente indagine, reputando lo sguardo alle dinamiche sociali sicuramente utile a far percepire come si articolino le figure di autorità menzionate nell’epistolario paolino, si pone come questione decisiva l’interpretazione cui sono oggetto nel pensiero di Paolo.
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08 set 2011
Ciclo di incontri:
Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani
E' seguito alle due relazioni del pomeriggio un dibattito in assemblea
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09 set 2011
Ciclo di incontri:
Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani
Carlo Dell'Osso
Introduzione
Due osservazioni preliminari,
a) Ignazio ha chiamato per la prima volta la chiesa ekklesìa katholikè, dice, infatti nella lettera alla comunità di Smirne: “Dove compare il vescovo, là sia la comunità, come là dove c'è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica”.
b) le lettere di Ignazio non hanno equivalenti tra gli altri scritti della prima metà del II secolo relativamente alla presentazione della struttura ministeriale, che rispecchia la trilogia vescovo, presbiteri, diaconi, attestando un tipo di organizzazione ecclesiale detta “monoepiscopato” oppure “episcopato monarchico”.
I. Testi ignaziani (presentazione di testi)
a. Il vescovo
“Nessuno senza il vescovo faccia qualche cosa che concerne la Chiesa. Sia ritenuta valida l'eucaristia che si fa dal vescovo o da chi è da lui delegato. Dove compare il vescovo, là è la comunità, come là dove c'è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica. Senza il vescovo non è lecito né battezzare né fare l'agape; quello che egli approva è gradito a Dio, perché tutto ciò che si fa sia legittimo e sicuro” (Smirnesi 8, 1 – 2).
“Cercate di tenervi ben saldi nei precetti del Signore e degli apostoli perché vi riesca bene tutto quanto fate nella carne e nello spirito, nella fede e nella carità, nel Figlio, nel Padre e nello Spirito, al principio e alla fine, con il vostro vescovo” (Magnesii 13,1).
b. I presbiteri
“Similmente tutti rispettino i diaconi come Gesù Cristo, come anche il vescovo che è l'immagine del Padre, i presbiteri come il senato di Dio e come il collegio degli apostoli. Senza di loro non c'è Chiesa” (Tralliani 3,1)
“Con la guida del vescovo al posto di Dio, e dei presbiteri al posto del collegio apostolico e dei diaconi a me carissimi che svolgono il servizio di Gesù Cristo che prima dei secoli era presso il Padre e alla fine si è rivelato” (Magnesii 6, 1).
“Come Gesù Cristo segue il Padre, seguite tutti il vescovo e i presbiteri come gli apostoli” (Smirnesi 8,1).
“Conviene procedere d'accordo con la mente del vescovo, come già fate. Il vostro presbiterio ben reputato degno di Dio è molto unito al vescovo come le corde alla cetra. Per questo dalla vostra unità e dal vostro amore concorde si canti a Gesù Cristo. E ciascuno diventi un coro, affinché nell'armonia del vostro accordo prendendo nell'unità il tono di Dio, cantiate ad una sola voce per Gesù Cristo al Padre, perché vi ascolti e vi riconosca, per le buone opere, che siete le membra di Gesù Cristo. È necessario per voi trovarvi nella inseparabile unità per essere sempre partecipi di Dio” (Efesini 4).
c. I diaconi
“Similmente tutti rispettino i diaconi come Gesù Cristo” (Tralliani 3,1)
“ Saluto il vescovo degno di Dio, il venerabile presbiterio, i diaconi miei conservi” (Smirnesi 12, 1)
II. Problemi ignaziani
a. Ignazio e NT
E’ utile ritornare sul rapporto di parentela evidenziato tra le lettere di Ignazio e gli scritti del Nuovo Testamento; in tal senso è stata subito notata una certa corrispondenza tra le lettere ignaziane e le lettere cosiddette “pastorali”, per il fatto che sembrano essere scritte nello stesso periodo ed avere contenuti simili, specialmente riguardo al ruolo “monarchico” del vescovo nei passi dove ricorre il termine episcopos, ovvero Tito 1, 7 - 9 e 1 Timoteo 3,1 - 8.
b. Monoepiscopato e apostolicità
Se distacchiamo il concetto di apostolicità da quello di tipo genealogico/ireneano e lo colleghiamo invece con gli indizi storici che autorizzano a collocare in epoca apostolica l’emergenza dell’episcopato monarchico, si potrebbe affermare l’origine apostolica dell’episcopato e quindi la sua apostolicità. A nostro avviso, non si può escludere che l’istituto del monoepiscopato sia annoverato tra le primissime forme di organizzazione della comunità cristiana.
c. Gli oppositori di Ignazio
Giudaizzanti e Doceti? O meglio un unico gruppo identificabile con gli ambienti da cui avrebbe tratto origine l’Ascensione di Isaia, in cui si professava un’ecclesiologia di tipo profetico e carismatico con un forte accento polemico nei confronti degli ordinamenti vigenti nelle chiese di allora.
d. La pace ritrovata
Tre ipotesi: la fine di una persecuzione; la vittoria della fazione favorevole ad Ignazio; la fuoriuscita del vescovo. Nostra ipotesi.
Suggestioni conclusive
Occorre sfumare quelle ricostruzioni degli studiosi che insistono molto sull’ostilità da parte delle comunità cristiane verso l’episcopato monarchico e l’organizzazione gerarchica delle chiese.
Inoltra, va ridimensionato il mito della preesistenza di organizzazioni ecclesiastiche fondate sul modello sinagogale del collegio presbiterale, in seguito soppiantate dall’episcopato monarchico, almeno per quanto riguarda l’Asia.
Siamo convinti dell’antichità e precocità del monoepiscopato e della trilogia vescovi, presbiteri e diaconi, organizzazione ecclesiale che non nacque, ma si consolidò ai tempi di Ignazio.
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09 set 2011
Ciclo di incontri:
Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani
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09 set 2011
Ciclo di incontri:
Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani
Il presidente Luca Mazzinghi e il responsabile di Rivista biblica offrono alcuni aggiornamenti sulle pubblicazioni che fanno capo all'ABI per sollecitare la partecipazione e il contributo di diffusione da parte dei soci presenti all'incontro.
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09 set 2011
Ciclo di incontri:
Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani
Yann Redalié
Quattro sono i punti delle posizioni attuali sulle "lettere pastorali":
1) Secondo il consenso critico classico il carattere tardivo delle pastorali rappresenta una tappa di evoluzione "negativa". Questa è una tappa verso l'istituzionalizzazione dei carismi. E' stata importante l'entrata in massa nel tema dei ricercatori cattolici dopo il Vaticano II.
2) E' emersa così una visione positiva della storiografia delle pastorali
3) Recentemente ci sono state contestazioni provenute dal mondo anglosassone, con due critiche di metodo: gli argomenti per la pseudoepigrafia sono analizzati ma nessuno degli argomenti è determinante. Il secondo sottolinea la critica del cosiddetto "grouping" cioè di trattare 1 e 2Tm e Tt come "le pastorali" senza analizzare la specificità degli autori di ogni opera, evitando di inserirle nel genere letterario che pregiudica il giudizio sull'opera. Questi autori cercano di vedere la continuità tra Paolo e le Pastorali negando un'evoluzione nei ministeri.
4) Tenendo conto del canone del NT si può considerare le pastorali come epistole di Paolo non sul piano della storicità ma sul piano della ricezione. Per questo la composizione canonica intende l'autore come unitario. Sull'ecclesiologia paolina dice l'importanza dell'apostolo sulla Chiesa. Questa autorità apostolica sulla Chiesa viene ripresa nelle Pastorali attraverso due elementi, con la Lettera che colma la distanza geografica e la distanza temporale. 1Tm 3,14-15: sottolinea il fatto che nello scritto ci sono tutte le indicazioni per il comportamento. La presenza è tansitato attraverso Timoteo e Tito come ministri. "Post-apostolico", anche Ignazio dice: "io parlerò come un apostolo". Questo è importante per la coscienza storica della storia della Chiesa.
Inoltre per parlare di "ministri" nelle lettere pastorali certamente ci sono le indicazioni sui ministri ma anche le parole dirette ai destinatari. Le lettere a Timoteo e a Tito non sono solo a delle persone ma a figure che hanno autorità sulle comunità. Nelle lettere si capisce che c'è la volontà di forgiare dei "tipi" a imitazione dell'apostolo. "Tipi" che dipendono dall'"upotuposis" che è Paolo stesso.
La qualifica di "collaboratori fedeli" dell'apostolo predispone Timoteo e Tito a diventare da un lato le figure della presenza dell'apostolo, rappresentanti dell'apostolo, dall'altro, sono modelli per i ministri fedeli. Questo vuol dire che devono essere in grado di formare altri in grado di trasmettere. Una articolazione nella fedeltà che dura. Questo è importante nell'ermeneutica delle epistole pastorali nei ministeri.
Timoteo e Tito sono rappresentait nelle Pastorali come figure di transizione e di passaggio, c'è la coscienza di una storia di trasmissione e di transizione.
Alcuni testi enunciano le condizioni di accesso ai ministeri: 1Tm 3,1-16 (questo testo si inserisce dopo avere parlato della preghiera in tutta la comunità); 1Tm 5,17-22; Tt 1,5-9.
Le qualità richieste per assumere un ruolo ministeriale hanno quasi nulla di specifico, possono essere usate per un ministro oppure per un altro. Gli studi svolti mostrano che sono molto simili a funzioni in epoca ellenistiche, come per chi vuole diventare generale nell'esercito deve avere le caratteristiche che ritroviamo anche qui per il ministro.
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10 set 2011
Ciclo di incontri:
Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani
Enrico Cattaneo
Secondo molti autori, la posizione di Ireneo sulla successione episcopale della Chiesa di Roma non è difendibile né storicamente né teologicamente. Il problema dunque è duplice: storico e teologico, anche se storia e teologia in questo ambito sono difficili da separare. In effetti, solo la Chiesa Cattolica, le Chiese Ortodosse e, almeno in parte, la Comunione Anglicana, ritengono necessaria all'essere della Chiesa la presenza di una successione apsotolica ininterrotta.
Per la maggioranza delle comunità protestanti invece, questo concetto non è essenziale perché ci sia una chiesa. L'apostolicità appartiene alla Chiesa intera, senza la necessaria mediazione di un ordine episcopale, ma è unicamente legata alla verità del Vangelo. E' normale allora che trattando della "successione apostolica" ci siano diverse valutazioni dei dati storici, a seconda delle rispettive confessioni.
In effetti, molti dati sono in se stessi ambivalenti, e possono essere interpretati sia in modo massimalista, sia in modo minimalista. In ogni caso, da un punto di vista storico la questione della successione apostolica è strettamente connessa con la nascita del mono-episcopato o episcopato monarchico, da un punto di vista teologico è congiunta con il problema dell'autorità apostolica, della sua legittimità e della sua continuità nella Chiesa.
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10 set 2011
Ciclo di incontri:
Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani
Enrico Norelli
Ho deciso di studiare un fenomeno le cui caratteristiche non mi sembrano essere state ancora completamente illustrate: i cosidetti sinodi antimontanisti degli ultimi decenni del II secolo, dei quali fonisce testimonianza Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica 5,14,16-19. In un penentrante articolo Eric Junod mostrò che non si tratta di sinodi in senso proprio, cioè di riunioni di delegati di diverse chiese al fine di risolvere problemi d'interesse collettivo, bensì di riunioni interne a una comunità locale, alle quali erano invitati vescovi di altre comunità. Tali presenze si spiegherebbero per il fatto che nell'ultimo terzo del II secolo i vescovi d'Asia minore sembrano aver preso su di sé il ministero del discenimento delle profezie.
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10 set 2011
Ciclo di incontri:
Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani
Il dibattito conclusivo sulle due relaioni di Enrico Cattaneo e di Enrico Norelli e al seguito interventi di valutazione complessiva e conclusiva di tutto il convegno.
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