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cultura e arte attorno al mistero pasquale 1° Marzo - 3 Maggio 2006
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Oscar Arnulfo Romero Vescovo di San Salvador ucciso il 24 marzo 1980
Veglia di preghiera

VEGLIA DI PREGHIERA NELLA MEMORIA DEI MISSIONARI MARTIRI CON LA PRESENZA DI MONS. RENATO CORTI

sabato 25 marzo 2006

21,00

Borgomanero - frazione Santo Stefano


Chiesa parrocchiale di Santo Stefano di Borgomanero

A cura del Centro Missionario Diocesano di Novara

Pagine da visitare:
http://www.mgm.operemissionarie.it/prima.html
http://www.novaramissio.it/
Presentazione evento:
UCCISI PERCHÉ TESTIMONI DEL RISORTO

1. Il secolo scorso è stato definito dal Santo Padre Benedetto XVI “un tempo di martirio”, tanto è stato elevato il numero dei cristiani che hanno testimoniato la loro fede fino a dare la vita con il martirio. Ma chi sono i martiri cristiani? Che differenza c’è tra loro e molti altri che sono morti e che continuano a morire per non tradire la loro patria o per essere fedeli alla loro ideologia?
Martire, martys, nel Nuovo Testamento, significa testimone di quello che Gesù ha detto e fatto e proprio per questa loro testimonianza esplicita alcuni vengono anche uccisi! Il martire è il testimone di Gesù, moro e risorto, che resta fedele fino allo spargimento del sangue; è colui che ha visto un fatto e ne dà testimonianza. I cristiani pertanto sono martiri perché testimoni di Cristo; professano la loro fede in Lui e proprio per questo motivo vengono perseguitati ed uccisi. Gesù l’aveva apertamente detto ai suoi discepoli: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Giovanni 15,20). Anche l’evangelista Luca, nel libro degli Atti degli Apostoli ci racconta la sorte e le sofferenze
che hanno dovuto sopportare la prima comunità cristiana e i discepoli per essere fedeli testimoni del maestro. Pietro e Giovanni vengono incarcerati (cfr. 4,3); Stefano è il primo a testimoniare Gesù fino al martirio (cfr. 6-7) e l’apostolo Giacomo, fratello di Giovanni viene ucciso di spada (cfr. 12, 2). Tutti i discepoli di Gesù vengono a trovarsi, prima o dopo, in una situazione simile a quella del maestro: si vive come ha vissuto Lui, sapendo molto spesso che come Gesù ha dato la vita fino all’effusione del sangue, lo sarà anche per loro. Significativo il parallelismo che troviamo nel libro degli Atti tra la morte di Gesù e la morte di Stefano, perfetta imitazione della passione e morte del maestro: tutti e due sono accusati da falsi testimoni e affrontano la morte con totale affidamento al Padre. Versare il sangue per testimoniare il Vangelo si potrebbe pensare realtà di altri tempi, del periodo degli inizi della Chiesa, ma non della nostra società di oggi. Eppure la realtà ci costringe a dire altrimenti. Lo testimonia il lungo elenco di martiri del xx secolo iscritti nel libro del martirologio e anche i 27 Missionari uccisi per testimoniare Gesù risorto nel 2005.

2. Risulta centrale pertanto, per il martire, il riferimento diretto a Gesù Cristo, morto e risorto per la salvezza dell’umanità. È l’elemento qualificante il martirio cristiano da altre forme di sacrificio e di dono della vita. Il pieno e totale riferimento a Cristo esalta e definisce il martire cristiano! La fede in Cristo e l’amore a Cristo sono i valori
più alti e assoluti della sua esistenza, tanto che per non rinnegarli è pronto a morire. Ed è proprio l’intimo legame a Gesù e al suo insegnamento “non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Giovanni 15,13)
che dilata il concetto di martirio dalla testimonianza cruenta della fede alla prova suprema dell’amore, cioè al martirio della carità. Chi muore infatti per salvare il prossimo, per amore dei più poveri e sofferenti, per la dignità di ogni persona umana, per la salvaguardia dei più elementari diritti della persona umana, e lo fa in nome di Cristo, è da considerarsi un martire, uno che dà la vita sull’esempio di Gesù e che lo vuole imitare fino alla fine. È infatti la testimonianza resa pubblicamente da un discepolo di Cristo, che non ha paura di affrontare la morte, sull’esempio del maestro, che dimostra il coraggio di essere testimone davanti a Cristo, come Lui ha detto: “ chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Matteo 10,32). Non possiamo vivere senza Cristo. A tutto possiamo rinunciare, ma non a Cristo. La fede in Lui vale più della stessa vita, perché una vita senza Cristo è vuota e insignificante. Centrale nella riflessione di quest’anno è il tema della testimonianza. I martiri
sono eccezionali testimoni del Dio altissimo, Padre, Figlio e Spirito Santo, che hanno testimoniato con la vita che l’amore è più forte della morte (cfr. Cantico dei cantici 8,6).

3. Per una testimonianza così è necessario il coraggio della fede. Molto presto, per i discepoli del Cristo, le sofferenze e la morte, che i martiri hanno sopportato nelle loro lotte, sono la manifestazione della potenza della risurrezione
di Gesù. Avendolo seguito nel suo annientamento, i suoi fedeli condividono la sua esaltazione presso il Padre. Per Gesù, così come per quelli che sono perseguitati a causa di Lui, la morte è sempre sinonimo di vittoria, purché sia vissuta nella totale fiducia in Dio. E solo la fede nelle sue parole e nella sua resurrezione e vittoria finale, che ha dato la forza di sopportare le prove più difficili, e addirittura la morte violenta, ai numerosi martiri di tutti i tempi. Ce lo ricordava Giovanni Paolo II, all’inizio del suo pontificato: “L’uomo deve allora correre il rischio di una situazione sconosciuta, il rischio d’essere mal visto, di esporsi a delle conseguenza sgradevoli, delle ingiurie, delle rappresaglie, delle perdite materiali, forse la prigione o la persecuzione… Il Vangelo si rivolge a degli uomini deboli, poveri, miti e umili, artigiani di pace e misericordiosi; ma allo stesso tempo fa costantemente appello alla forza. Ripete spesso: Non abbiate paura!” (cfr. 2 Corinzi 12,9).
Il martirio è una confessione esplicita della fede in Gesù Cristo, cioè una testimonianza resa a Gesù non solo a parole, ma con i fatti, soffrendo e talvolta anche morendo per Lui: questo significa che il martire intende affermare in modo convincente che Gesù è il Figlio di Dio, che questa è la sua fede e che per questa è disposto ad accettare qualsiasi rischio e sofferenza, fino alla morte. Anche oggi, molti missionari lo sanno: rimanere in determinate situazioni a testimoniare l’amore di Gesù per tutti, è un rischio e molto spesso una condanna a morte. Ma la forza e il coraggio della fede, unite alla solidarietà di tutta la comunità, dà la forza di rimanere.
I Cristiani che sono stati martirizzati nel corso della storia non sono morti per difendere la loro religione, nemmeno per affermare la potenza e la presenza di Dio nel mondo, né l’esistenza della vita eterna dopo la morte! Sono morti per non rinnegare Colui al quale avevano donato tutta la loro vita, colui che per fede si erano votati, colui con il quale affermavano di essere in costante rapporto personale, esistenziale e che confessavano come Signore della loro esistenza, il Cristo risorto, l’Emmanuele, il Dio presente in loro e nell’umanità intera, il Signore della storia che guida le sorti dell’umanità. Il più delle volte i missionari che hanno dato la vita per Gesù si sono trovati nell’alternativa di rinnegare la fede e l’amore a Cristo nella testimonianza della vita o di subire, prima o poi una morte violenta. Questa scelta di vita è spesso considerata una follia agli occhi umani, e invece dimostra che la fede in Gesù è un valore così grande che non deve mai venire meno. Ecco l’originalità del martire cristiano, che non muore per una causa, per quanto nobile che essa sia o per un ideale, pur elevato, ma muore per la fedeltà a Dio, di cui si sente immensamente amato. Il martire non è mosso solo dalla volontà di morire come è morto Gesù, ma è mosso soprattutto dall’aver ricevuto un amore, un amore grande, un perdono grande, un amore che dalla morte genera la vita. Il martire cristiano testimonia Dio presente nel nostro mondo che vuole divinizzare tutti gli uomini chiamandoli suoi figli e offrendo a tutti la partecipazione al suo regno d’amore. Il martire cristiano testimonia l’amore di Dio e la grandezza dell’uomo. Il testimone oggi è chiamato, sull’esempio di Gesù, ad amare tutti, proprio perché Gesù è morto per tutti. Il testimone è amato innanzitutto da Cristo crocifisso, è perdonato da Lui perché diventi testimone fino a dare la vita per coloro che
lo hanno ucciso.

4. Là dove non è chiesta la testimonianza del sangue, ancora più forte e significativa dovrà essere la testimonianza della vita quotidiana. Qui sta il vero significato per noi e per le nostre comunità cristiane della celebrazione della giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri. Non è solo un ricordo, ma diventa un motivo per ravvivare la nostra fede e per impegnarci di più nella testimonianza della vita cristiana. Si deve testimoniare Dio con le parole e con i fatti dovunque, in ogni ambiente: in famiglia, nei luoghi di lavoro, negli uffici e nelle scuole; nei luoghi dove l’uomo fatica e riposa. Bisogna confessare Dio mediante la fervente partecipazione alla vita della Chiesa, attraverso l’attenzione premurosa ai più poveri, dei deboli e sofferenti e attraverso l’assunzione di responsabilità pubbliche e civili. Una scelta del genere esige una fede forte e matura, che talvolta deve essere pagato con l’eroismo e totale abnegazione. Anche ai nostri giorni, nella nostra società, ci è chiesto di fare alcune scelte coraggiose per mantenersi fedeli a Cristo, per testimoniare nella cultura di oggi la bellezza di seguire Cristo e la necessità che i valori della fede siano presenti nella società odierna. Certo oggi non incontriamo la persecuzione cruenta contro chi crede. Però capita
spesso di trovarsi di fronte a chi non crede, a chi non condivide le ragioni ultime della fede, a chi fa scelte di vita contrarie alla visione cristiana. Più spesso la fede è considerata inutile, irrilevante, che se ne può fare a meno, se non dannosa per la vita e la felicità. Ogni cristiano pertanto è chiamato, dovunque si trovi, “a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. (1 Pietro 3,16).

Post evento
Documentazione sull'evento:

Il 25 marzo la Chiesa novarese ha celebrato nella chiesa di Santo Stefano di Borgomanero con la presenza del suo vescovo mons. Renato Corti, la XIV giornata di preghiera e di digiuno per i missionari martiri.

Mons. Mario Bandera che ha guidato la celebrazione ci ha ricordato come “il martire sia il segno più eloquente di quell’amore così grande che ingloba ogni altro valore. La sua esistenza riflette la parola suprema pronunciata da Cristo sulla croce: “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Il credente che abbia preso in seria considerazione la propria vocazione cristiana, per la quale il martirio è una possibilità annunciata già nella Rivelazione, non può escludere questa prospettiva dal proprio orizzonte di vita”

 

In un clima di grande raccoglimento i partecipanti hanno pregato per tutti i ventisette missionari uccisi a causa del Vangelo e in essi hanno riconosciuto la vera misura dell’essere cristiano: quella cioè di donare la propria vita per i fratelli nella difesa dei diritti dei più poveri, nella condivisione e nella solidarietà con chi è vittima della violenza, nella professione della fede che non è stata ridotta al silenzio dalle minacce.

L’ ascolto della Parola (Ap 7, 13-15), la preghiera nella prova del Salmo 31 (30) e il brano del vangelo di Marco (8, 34-37) hanno accompagnato i fedeli nel constatare come dare la vita è amare fino in fondo: amare l’amico e il nemico, la vittima e il carnefice. Infatti amare è credere nella persona, cioè credere che in ogni uomo e in ogni donna c’è l’immagine di Dio. La Pasqua di Cristo, il suo passaggio attraverso la morte per far nascere la vita , è il solo paradigma per vivere una vita vera, è la  sola logica per annunciare la buona notizia e salvare il mondo.

 

Uno dei missionari a noi più vicino, e che ha versato il suo sangue per testimoniare il vangelo è mons. Luigi Locati missionario “Fidei donum” della  diocesi di Vercelli diventato vescovo nella diocesi di Isiolo in Kenia. Ha portato una toccante testimonianza della sua opera e del suo impegno a favore dei più poveri, dei più deboli e bisognosi il direttore del Centro Missionario di Vercelli, mons. Franco Givone, suo grande amico. “Don Luigi era una persona intelligente e capace, molto schietta, era duro con gli altri, ma anche con se stesso.

Quando arrivò nella diocesi di Isiolo, verso il confine con Somalia ed Etiopia,  vi erano 12 cattolici, ora sono 15 mila. Ha realizzato scuole per l’infanzia, elementari, medie e superiori, accogliendo tutti, di qualsiasi etnia e religione, nel rispetto della  dignità di ognuno.

Era molto ben voluto dalle autorità, non scendeva mai a compromessi, denunciava ogni sopruso. Questa sua strenua difesa dei diritti di ognuno lo ha portato alla morte per mano di un assassino la sera del 14 luglio 2005, a pochi metri da casa sua”.

 

“L’eredità preziosa che questi testimoni coraggiosi ci hanno tramandato sia trasmessa di generazione in generazione perché da essa germini un profondo senso cristiano” E’ questo invito di Papa Giovanni Paolo II che aiuta ciascuno dei presenti a vivere con grande raccoglimento il momento in cui vengono ricordati i 27 martiri uccisi nel 2005. Ai piedi della croce  verso la quale i martiri hanno seguito le orme di Gesù vengono portati una pietra (il martire è la pietra che, scartata dai “costruttori” è diventata testata d’angolo) e cinque ceri (i cinque continenti) a simboleggiare la luce di Cristo che vince le tenebre della notte.

 

Ha preso la parola mons. Corti il quale ricordando l’opera di tanti missionari che hanno fatto della loro vita un dono concreto di amore verso ogni forma di povertà ha invitato i presenti a far sì che dall’esempio di questi grandi testimoni del vangelo ogni cristiano si impegni a testimoniare Dio con le parole e con i fatti dedicando molta attenzione alle persone dimenticate, ai poveri, ai deboli e ai sofferenti. Rivolgendosi ai giovani ha ricordato come l’amato Papa Giovanni Paolo II si sia rivolto a loro esortandoli a non aver paura  di andare per le strade a predicare il Vangelo “perché non è tempo di vergognarsi del Vangelo, è tempo di predicarlo dai tetti”. Invita i giovani a portare la croce di Cristo e a portare sulle labbra le parole di vita.

 

Le preghiere rivolte a Dio per tutti i missionari e la loro opera di evangelizzazione, quelle per la Chiesa perchè possa accogliere le sfide del terzo millennio ed attuare con coerenza l’annuncio del vangelo; le invocazioni per le giovani Chiese  sparse nei cinque continenti perché in esse vengano testimoniati l’amore e la tenerezza di Dio; quelle per i giovani perché facciano della loro vita un dono per gli altri e quelle per tutte le comunità perseguitate ed oppresse hanno chiuso questa intensa serata di preghiera per i missionari martiri “uccisi perché testimoni del Risorto”.

 

Giovanna Ragni

 

Documenti allegati:
- Relazione mons. Givone.doc


 
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