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cultura e arte attorno al mistero pasquale 1° Marzo - 3 Maggio 2006
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PERCORSO VEDERE

Il percorso Vedere valorizza lo strumento di indagine offerto dal senso della vista, che scorge nella realtà e nell'arte elementi simbolici che guidano il cammino di ricerca di senso e di speranza.



Chiesa di San Giovanni Battista Decollato: presbiterio dopo il restauro
Mostra

«LA PASSIONE TERRENA DEI CONDANNATI A MORTE»

Dal giorno: lun 06 marzo

al giorno:
sab 15 aprile


Ore 10,00-12,30 15,30-19,00

Novara


Chiesa San Giovanni Decollato

Mostra a cura della Confraternita San Giovanni Battista Decollato

Pagine da visitare:
Consigliamo, per l'approfondimento del tema, la lettura del Discorso di Giovanni Paolo II in visita al Parlamento italiano (giovedì 14 novembre 2002): http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/2002/november/documents/hf_jp-ii_spe_20021114_italian-parliament_it.html
Presentazione evento:

Presentazione della mostra «La passione terrena dei condannati a morte» sulla storia e la pratica della «Confraternita di San Giovanni Battista Decollato» in relazione all'assistenza dei condannati a morte (secc. XV-XVIII). Il tema affrontato dalla mostra è stato trattato all'interno del convegno: "Condanna e carcere tra storia e attualità. in margine ai dibattiti attuali" nell'ambito del progetto Passio 2006.
 

CONFRATERNITA DI SAN GIOVANNI BATTISTA DECOLLATO "AD FONTES" DI NOVARA
Le pie aggregazioni cristiane affondano le loro origini, come riferisce Ludovico Antonio Muratori in "Antiquitates italicae medii aevi" in tempi antichi; non vi fu centro grande o piccolo che non avesse una o più aggregazione e la loro affermazione fu dovuta alla rapida dissoluzione della società feudale italiana e al sorgere dei liberi Comuni. Alla seconda metà del secolo XIII si fa risalire dagli studiosi la nascita dei movimenti penitenziali che percorrevano le regioni d'Italia impugnando dei flagelli di cuoio, invitando alla penitenza, cantando inni e percuotendosi.
Per la Confraternita di San Giovanni non esistono testimonianze dirette della sua attività, ma solo testimonianze indirette, la più antica risale agli atti del Sinodo indetto dal Vescovo Sigebaldo Cavallazzi nel 1257; durante il Sinodo furono adottati provvedimenti per il risanamento della vita religiosa del clero della Diocesi e la soppressione delle Compagnie di penitenti per combattere gli eccessi in cadevano durante le cerimonie di penitenza e di preghiera.
Documentazione più consistente si ha a partire dalla fine del XTV secolo; da documenti del 1481 e del 1493 si apprende che la Compagnia era ospitata presso la Cappella dello Spirito Santo presso San Siro in Vescovado; nel 1504, dovendosi ristrutturare il palazzo dei Vescovi alla Compagnia fu affidato un oratorio confinante col Battistero e che si apriva sul cimitero del Duomo. Non si sa in quali anni alle pratiche di culto e penitenza si è aggiunta la pratica di sepoltura dei giustiziati nella confinante area cimiteriale.
Nel 1579 il Duca di Parma e Piacenza e Marchese di Novara, Ottavio Farnese, concesse alla Confraternita il privilegio di assistenza ai condannati, di sepoltura dei loro corpi e per la festa di San Giovanni il privilegio di salvare un condannato a morte.
Il privilegio di salvezza, sospeso nel 1602 per il passaggio di Novara dai Farnese alla Spagna, fu ripristinato nel 1625 dal re Filippo IV e durò fino al 1739 quando, con la pace di Vienna (fine della Guerra di Successione Polacca), Novara passò ai Savoia. Con questo passaggio cambiò l'amministrazione civile, giudiziaria e penale.

Figura.  Decreto di Filippo IV di Spagna "privilegio di grazia"

Nel 1800 da Napoleone fu creata la Repubblica Italiana e per evitare la cessione a privati del
complesso di San Giovanni confinante col Duomo, il Vescovo Vittorio Filippo Melano dichiarò la
Chiesa di San Giovanni sussidiaria della Cattedrale e questo stato giuridico durò fino al 1814,
quando tramontata l'epopea napoleonica e tornati i Savoia, con Regio Editto in data 21 maggio
1814 furono ripristinate le Confraternite; l'assistenza ai condannati durò fino al 1857 quando
entrarono in vigore le norme di attuazione delle Leggi Siccardi. 

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L'attuale Chiesa di San Giovanni fu edificata, in sostituzione del piccolo oratorio cimiteriale, nel 1628. Non si conosce il nome dell'architetto, ma da comparazioni con coeve chiese milanesi (San Giacomo e Santa Marta) si può rilevare l'influenza dell'architetto milanese Francesco Maria Ricchino.
Accanto alla chiesa nel 1586 fu costruito il sepolcro terragno destinato ai giustiziati; nel 1674 sul sepolcro fu innalzata una cappella destinata al culto. Nel 1919 la cappella fu trasformata in memorial per i Caduti per la Patria.
Nel corso dei secoli l'edificio non ha subito contaminazioni o trasformazioni stilistiche e i lavori di restauro stanno restituendo le antiche decorazioni e i festosi colori barocchi.


Post evento
Documentazione sull'evento:

STORIA DELLA CONFRATERNITA DI SAN GIOVANNI BATTISTA DECOLLATO “AD FONTES”

Prof. Guido Guida


Su una lapide terragna recentemente ricuperata dal giardino di proprietà della Confraternita di San Giovanni Battista Decollato, si legge
DE LIBRO VITAE HUIUS
IUSTITIA DELETIS
CHARITAS CONFRATRUM
S.IO. BAPT. DECOLLATI
SEPUL. P.
AN. D. MDCXII
MEN. Nov.



(Per coloro che sono stati cancellati dalla giustizia dal libro della vita la carità dei Confratelli di S.Giovanni Battista Decollato ha preparato il sepolcro – Nell’anno del Signore 1612 – mese di novembre)

“cancellati dal libro della vita dalla giustizia…”

poetico eufemismo per indicare i giustiziati

Questo della pena di morte come punizione di un delitto grave o come esorcizzazione per una morte data, è un problema antico quanto l’uomo e non sta a noi discutere, almeno in questa sede, se è atto di giustizia o se l’atto stesso sia ingiustizia.

Qui interessa esaminare come la questione giustiziati si sia legata alla Confraternita e per comprendere questo problema bisogna far riferimento alla storia della Confraternita stessa.

Le confraternite o scuole sono di antica origine. A Roma, ad esempio, esistevano gruppi laici che si riunivano per praticare culti a determinate divinità o culti misterici, pensiamo alla Villa dei Misteri di Pompei con il ciclo dell’iniziazione di una nuova adepta al culto dionisiaco.

Come riferisce Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) in “Antiquitates italicae medii aevi” si possono far risalire le prime norme giuridiche che regolavano le pie istituzioni cristiane ai Longobardi e a Carlo Magno tuttavia per i secoli dal IX al XII, non si hanno notizie di istituzioni in Italia di Scuole, di Adunanze, di Confraternite, di Confrarie, anzi si ha notizia di soppressione di quelle esistenti forse a causa delle lotte civili all’interno dei Comuni e alla rapida dissoluzione della società feudale, Unica eccezione è la città di Venezia dove esistevano, fin dal X secolo, le Scuole (Scuola Grande di S.Rocco, Scuola Grande di S.Marco, Scuola Grande dei Carmini, Scuola Grande di S.Giovanni Evangelista che portano le firme del Longhena, del Lombardo, del Bruora, di Tintoretto, del Tiepolo, di Palma il Giovane).

Carlo Francesco Frasconi – Cerimoniere Maggiore e Cappellano della Cattedrale – (1754-1836) – facendo riferimento al Muratori, tende a fissare alla metà del XIII secolo la nascita di movimenti penitenziali che percorrevano le regioni d’Italia impugnando un flagello di cuoio, invitando alla penitenza, percuotendosi e cantando. Eredità letteraria di queste Confraternite di Flagellanti sono i grandi “laudari” umbri del sec. XIII, anonimi, e che hanno dato la voce a S.Francesco d’Assisi e a Jacopone da Todi.

Per San Giovanni, Frasconi, basandosi su un atto notarile in data 8 marzo 1370. fa risalire la sua istituzione alla fine del sec. XIII o ai primi anni del sec. XIV Non si sa in quale chiesa od oratorio gli aderenti alla Scuola o Compagnia praticassero cerimonie di penitenza e di preghiera, si sa con certezza da documenti degli anni 1481 e 1493 che la Compagnia era ospitata presso la Cappella dello Spirito Santo presso San Siro in Vescovado; nella cappella i Confratelli “…nunc faciunt eorum disciplinam et officium…”

Varie furono le denominazioni assunte dalla Scuola: dei Flagellanti, di San Giuliano (da non confondere con la Scuola dei Calzolai), di San Rocco, dei Santi Giovanni e Rocco, dei Disciplini.

Nel 1504, sotto l’amministrazione del Vescovo Gerolamo Pallavicino (1484-1504), dovendosi ristrutturare il Palazzo dei Vescovi, alla Scuola venne assegnato un nuovo luogo di culto, un oratorio di forma oblunga e stretta con orientamento est-ovest, con un unico altare addossato alla parete del Battistero dal quale era diviso da una grata; la porta d’ingresso dell’oratorio si apriva sulla piazza del Castello; sul fianco sinistro una porticina immetteva nel settore del cimitero del Duomo riservato alla sepoltura dei giustiziati. Per il culto si utilizzava anche il Battistero ed è intorno ai primi anni del secolo XVI che la Scuola prese il nome di:

“SAN GIOVANNI BATTISTA AI FONTI BATTESIMALI”

cambiato poi nella forma definitiva in:

“SAN GIOVANNI BATTISTA DECOLLATO AD FONTES”

Non si sa in quale anno alle opere di fede si sia unita l’attività di assistere di dare decente sepoltura ai cadaveri dei giustiziati nel confinante spazio cimiteriale, oggi piazzetta antistante la Chiesa.

Nel 1538, Carlo I come re di Spagna e V come imperatore del Sacro Romano Impero, con diploma 27 settembre, istituì il “Marchesato di Novara” investendo dello stesso Pier Luigi Farnese, figlio di Paolo III. Il Massignani in “Il primo duca di Parma e Piacenza”, Parma 1907, scrisse che il duca era circondato da ribaldi, ruffiani, ladri e sgherri, pieno di “mal francese” (sifilide), uno dei più tristi campioni della carnalità, particolarmente dell’ “amor puerorum”. A Pier Luigi, ucciso dai congiurati capitanati dall’Anguissola il 10 settembre 1547, successe il figlio Ottavio, sul quale il Muratori scrisse: “…nei verd’anni si acquistò nome di valoroso capitano e nei maturi anni di principe savissimo, giusto e pieno di clemenza…”.

Il 1579 fu per la Confraternita un anno molto importante. Per interessamento del canonico Carlo Boniperti la nostra fu aggregata all’ Arciconfraternita di San Giovanni Battista Decollato della Nazione Fiorentina in Roma con l’acquisizione di tutti i diritti e privilegi ad essa accordati. Tra questi privilegi vi era quello di accompagnare al supplizio i condannati e di liberare un condannato a morte ogni anno. Le concessioni risalivano al Papa Innocenzo III (1198-1216) ed erano state confermate e ampliate dai papi successivi. Sempre nello stesso anno, 1579, 3 luglio, il Vescovo di Novara Pomponio Cotta (1577-1580) inviò al Duca di Parma e Piacenza e Marchese di Novara una supplica in appoggio alla richiesta della Confraternita perché anche alla stessa venissero concessi i privilegi della Nazione Fiorentina; nello stesso mese di luglio Ottavio Farnese concesse il privilegio richiesto.

Il testo del Decreto, del quale in archivio esiste copia cartacea, recita: Agendo noi pietosamente ad onore del nostro Signore Gesùcristo, e di S.Giovanni Battista concediamo ai summenzionati Confratelli la facoltà di nominare in ciaschedun anno
perpetuamente quattro uomini banditi, o prigioni condannati alla morte, purchè non siano questi rei di lesa maestà divina od umana, di falsificazione di monete, di grassazioni pubbliche o di omicidi premeditati o mandati. Stabiliamo che di detti quattro nominativi debbiasi da Noi e dai nostri Successori sceglierne uno in ciascun anno in perpetuo, a cui (ottenuta prima la pace ed il perdono da quelli che restarono offesi) concedergli liberamente la grazia…Dato in Parma l’ultimo di luglio 1579 – segnato Ottavio Farnese – sottoscritto Giambattista Pico segretario e col sigillo ducale, registrato ecc…

Nel 1586 fu decisa la costruzione di apposito sepolcro per i giustiziati a fianco della chiesa. Nello stesso anno un controversia oppose la Confraternita di San Giovanni alla Confraternita del Sacro Monte della Pietà per il diritto di assistere e seppellire i giustiziati. Il Sacro Monte della Pietà era stato fondato nel 1566 dall’Abate Commendatario di S.Bartolomeo di Novara, Amico Canobio (1532-1592).
Il Sacro Monte si appellò ai Tribunali Ecclesiastici; la soluzione adottata fu di compromesso: il Sacro Monte poteva assistere i condannati, ma la sepoltura era competenza di S:Giovanni, se poi si trattava di militari condannati, la competenza era esclusiva di S.Giovanni. Il diritto fu esercitato dal Monte di Pietà per breve tempo.

Nel 1589 in data 22 aprile, la Confraternita ottenne l’aggregazione, ossia la subordinazione alla Sacrosanta Basilica di San Giovanni in Laterano di Roma. I privilegi ottenuti la posero al di sopra e al di fuori di ogni controllo locale perché nessun interdetto o divieto poteva essere emanato se non col consenso del Capitolo Lateranense.

Pur godendo di autonomia amministrativa e politica il Marchesato di Novara subiva continue interferenze e i Farnese, o i loro rappresentanti locali, erano costretti a continui interventi per garantire la loro sovranità e autorità: queste interferenze spinsero Ranuccio I, successo al padre Alessandro nel 1592, a emanare una Imstruzione per il Podestà di Novara per precisare e indicare la linea da seguire e come fronteggiare le intromissioni amministrative di Milano. Carlo V quando aveva dato in feudo ai Farnese il Marchesato si era riservato il diritto di riscattarlo, restituendo i 225.000 scudi d’oro ricevuti da Paolo III. Nel 1602 Filippo III, considerando la situazione economica e militare del novarese, fece valere la riserva. Per la verità il merito dell’iniziativa fu del Conte di Fuentes, governatore di Milano, che mise davanti al fatto compiuto sia il suo Re che il Duca di Parma. Le trattative iniziarono nel settembre del 1600 e durarono due anni; il motivo principale del contendere stava nel fatto che il Farnese voleva moneta buona perché Paolo III aveva sborsato scudi d’oro, mentre i “ragionati” della Camera di Milano volevano dare soldi milanesi in ragione di 110 per scudo, alla fine i novaresi “furono invitati” a contribuire alla spesa del loro “riscatto” sborsando la somma pattuita di 225.000 ducati d’oro. L’unico vantaggio per i novaresi fu che la situazione diventò più chiara: non più due padroni, ma uno solo, anche se il nuovo pesava per due e più.

Con l’avvento degli spagnoli tutte le disposizioni prese dai Farnese furono sospese o soppresse e quindi anche il privilegio di salvare un condannato, pur restando quello dell’assistenza. Il privilegio di salvezza fu ripristinato con diploma di Filippo IV, Re di Spagna, del Portogallo e Duca di Milano, in data 7 agosto 1625.

L’aumentato numero dei Confratelli e delle Consorelle, l’impegno caritativo ed assistenziale avevano nel frattempo resa sempre più inagibile la Cappella “ad Fontes” cioè quell’edificio alle spalle del Battistero e che si apriva sulla piazza del Castello. Nel 1628 fu decisa la costruzione di una nuova chiesa con orientamento, su ordinanza del Castellano, nord-sud e quindi non più con l’ingresso verso la piazza. Non si conosce il nome dell’autore dell’interessante progetto. Da accostamenti temporali, cioè di date, e confronti con opere dello stesso periodo presenti in Milano (vedi chiese di San Giacomo e di Santa Marta), l’architetto Paola Drisaldi ha rilevato una forte influenza dell’architetto milanese Francesco Maria Ricchino (1584-1658); anche nella facciata, innalzata nel 1658, si rileva l’influenza del predetto architetto (vedi facciata della chiesa di S.Marco).

Nel 1674 fu costruita, sul sepolcro terragno dei giustiziati, la Cappella la cui facciata fu realizzata con il lascito testamentario del conte Baldi.

Nel 1675, con diploma di Carlo II, re di Spagna, fu esteso anche a Novara il privilegio di salvare due condannati a morte.

Nel 1731 fu presentata a Milano l’ultima pratica di grazia e nel 1733, per le vicende della Guerra di Successione Polacca, finì de facto il privilegio di grazia, pur continuando quelli di assistenza e sepoltura.

Il 1739, pace di Vienna, segnò il passaggio di Novara ai Savoia e il graduale cambiamento dell’amministrazione civile, giudiziaria e penale (passaggio degli studenti assistiti dal Collegio Caccia da Pavia a Torino). La confraternita tuttavia conservò i privilegi di assistenza e sepoltura.

Nel 1800 con la creazione della napoleonica Repubblica Italiana, molte chiese furono chiuse e alienate o adibite ad uso civico (vedi S.Marco trasformata in salone per la pubblica biblioteca); con Decreto del 3 ventoso, anno IX repubblicano (24 febbraio 1801) le confraternite e le compagnie religiose furono soppresse e i loro beni confiscati e ceduti a privati, ma ancora nel 1802 il Sindaco di Novara, cittadino Tornelli, inviava alla Confraternita l’invito a provvedere al seppellimento di due condannati ed essendo ormai inagibile l’antico sepolcro, affidava alla Confraternita il cimitero dei militari che, dalle carte teresiane, era a cavallo della via Legnano (quartiere di Porta Mortara). Questo avveniva perché non era ancora stato aperto il Cimitero Urbano, entrato in funzione nel 1810/1811 sui terreni confiscati al soppresso Convento di San Nazzaro.

Al fine di evitare la confisca della chiesa e l’alienazione dell’area a privati, data l’estrema vicinanza con il complesso della Cattedrale, il 21 febbraio 1806 il Vescovo Vittorio Filippo Melano (1791-1817) dichiarò la Chiesa di S.Giovanni sussidiaria alla Cattedrale e tale sussidiarietà durò fino al ritorno dei Savoia. Con Regio Editto in data 21 maggio 1814 Vittorio Emanuele i ripristinò le soppresse istituzioni religiose reintegrandole, ove possibile, nel possesso dei beni e degli antichi diritti; l’assistenza ai condannati durò fino al 1857 quando entrarono in vigore le norme di attuazione delle Leggi Siccardi e con le vicende storiche che portarono all’unificazione dell’Italia e conseguentemente il riordino delle norme legislative nel territorio del nuovo stato.

Durante la Guerra 1915-1818, dopo le vicende di Caporetto (ottobre 1917) che portarono all’arretramento del fronte alla linea del Piave, il Teatro Coccia di Novara diventò magazzino di materiale militare e la Chiesa di San Giovanni fu adibita a magazzino di materiale sanitario; le pratiche di culto si svolsero nella vicina Cappella dei Giustiziati. Alla confraternita inoltre fu affidata la custodia della bandiera utilizzata per le onoranze funebri ai caduti, bandiera nuovamente utilizzata fino al 1943 durante la Seconda Guerra Mondiale e ora custodita nell’archivio della Confraternita.

Nel 1919 la Chiesa fu restituita dall’autorità militare alla Confraternita e per iniziativa dell’allora Cappellano, don Luigi Drovanti, il Sepolcro dei Giustiziati fu trasformato in “Cappella ai caduti per la Patria”

La vocazione iniziale di assistenza ai condannati non è mai tramontata, da documenti esistenti in archivio si apprende che la Confraternita ha periodicamente elargito aiuti alle famiglie dei carcerati e dal 1952, anno della entrata in funzione, ha contribuito all’amministrazione della “Casa Divin Redentore per i dimessi dal carcere” di Novara con elargizioni di fondi e con un suo rappresentante nel Consiglio di amministrazione. L’attività durò fino alla nuova riforma carceraria. Oggi la Confraternita si propone di ricuperare e custodire il patrimonio di fede, d’arte, di carità ricevuto dai Confratelli dei secoli passati.


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Nell’archivio della Confraternita vi è un libretto di carta a mano che misura cm. 10 x 28; sulla copertina porta la scritta:
“1712 – REGISTRO DEI CONDANNATI ALLA MORTE / INCOMINCIATO COME SOPRA CIOE’ DAL SETTEMBRE 1712 SINO / ALL’ANNO… CARTELLA II N° 36”
Purtroppo non è più possibile reperire il primo volume che va dal 1573 al 1711. La copia esistente nell’archivio inizia con la data 30settembre 1712 e termina con la data 12 febbraio 1857. Diligentemente vi sono annotati i nomi dei condannati, le pene eseguite, sono pure annotate le spese per l’esecuzione (compenso per il boia, per gli aiutanti, per la sepoltura ecc.). La lettura del testo è stata fatta da don Angelo Luigi Stoppa, archivista della Cattedrale; nel presentare il suo lavoro – pubblicato sul Bollettino Storico per la Provincia di Novara, anno LIII (1962), n° 1 – don Stoppa dice: “…ricopiando mi atterrò il più possibile alla materialità grafica del registro anche quando come avviene di frequente, specie i nomi propri di persone e di località, sia italiani che stranieri, sono scritti ad orecchio, come suonano. Quando la scrittura non è leggibile mi limiterò a porre un punto interrogativo tralasciando la parola illeggibile”
Per i periodi antecedenti al 1712 bisogna rifarsi alla ricerca fatta dall’avv. Giuseppe Pagani “Piccolo contributo ad uno studio sulla delinquenza nel Novarese” pubblicato sul BSPN – anno XV (1921) e XVI (1923).
Chi sono questi condannati e quali delitti hanno commesso e quali pene hanno subito? Nello scorrere, con non poca difficoltà per le cancellature e la scrittura talvolta indecifrabile (pur supportando con la lettura di don Stoppa), si rileva che la stragrande maggioranza dei dannati, fino al 1732, sono militari di origine centro Europa, pochi sono i civili, dopo tale data compaiono i pirati del lago: le grazie concesse sono circa un terzo. Dopo il 1732 si hanno solo nomi italiani. I delitti sono: per le donne infanticidio, eliminazione del marito con l’aiuto dell’amante, violenza contro famigliari anziani; per gli uomini furto con violenza, omicidio, atti di pirateria; per i militari diserzione, rivolta contro i superiori, furto e gioco con violenza.
Per quanto riguarda le pene che venivano comminate cito alcune sentenze dedotte dal Pagani e dalla lettura fatta da don Stoppa del registro dei condannati:
da Pagani –
1593 - il 30 gennaio fu sospeso alla Vetra un Giorgio Mongerra muratore di Biella:
1609 – Il 10 settembre, sabbato decapitato sul corso di Porta Tosa il sig. Gio,Batta Caccia, feudatario novarese per molti omicidi. Il palco era tutto coperto di nero e il di lui corpo fu posto nell’Ospedale Maggiore dagli scolari con le torcie di libbre 4 l’una. Fu indi il detto corpo trasportato a seppellirsi a Novara e la Scuola di S.Gio.Batta decollato, per la suddetta licenza ebbe il donativo di 50 scudi; detenuto nel regio officio del signor Capitano di Giustizia.
1704 – Il 5 marzo, giorno di mercoledì, essendo stato consegnato ieri l’altro alla mattina dal S.Ufficio dell’Inquisizione di questa città al braccio secolare per ordine della Sacra Congregazione di Roma, Gio.Giacomo Molino del quondam Gio.Batta del luogo di Alagna diocesi novarese a causa di veemente sospezione di eresia e di avere, come falsario, continuato a celebrare più messe ed a somministrare li sacramenti della Penitenza ed Eucaristia in diversi luoghi ed a diverse persone senza essere sacerdote, il Senato ecc.mo ha determinato che il medesimo Molino debba essere appiccato sopra la piazza maggiore di questa città e che ivi sia il di lui cadavere immediatamente abbruciato e, dovendo ciò eseguirsi giovedì prossimo, che sarà alli 6 del corrente, s’invitano gli Scolari a trovarsi nell’Oratorio per accompagnarlo al patibolo.
dal Registro dei condannati:
1728 – 12 marzo, Carl’Antonio Callé p.m. Francesco, nativo del luogo di Vinzaglio d’età d’anni 28 ; et Pietro Antonio Vignano quondam Francesco della terra di Robbio, d’età d’anni 24, ad essere condotti a coda di cavallo al patibolo ed ivi incrodati con un colpo sopra il petto d’indi scanati e lasciare i loro cadaveri esposti al luogo tutto il giorno sopra le ruote d’indi trasportati i loro cadaveri sopra la strada d’Oleggio vicino a Belinzago dove hanno commesso il delitto et assassinato con morte del sig. mercante Gallarati.
1755- 10 gennaio: Giuseppe Sibilia detto Garbassa qd. Carlo d’anni 25,Carlo e Biagio Imballi Parachini, il 2° d’anni 24 e il 1° d’anni 23 filij di Carlo, Gio Vellati filio di Gerolimo d’anni 25 tutti del lago di Castelletto sopra Ticino ladri e grassatori anche di pirataria ad essere tutti e quattro condotti al Patibolo a coda di cavali indi apicati per la golla poscia a tutti troncati il capo et un brachio da portarsi longo la ripa del l’ago Mag.e su un logo eminente. Ad dì 11 alla matina fu eseguita la sentenza al luogo solito come sopra. 1843 – 14 novembre: Giuseppe Santena del viv. Lorenzo, nativo di Torino, d’anni 25 Carabiniere Reale della stazione di Castelletto sopra Ticino inquisito d’insubordinazione con vie di fatto, per avere verso le ore 6 ½ della sera di Domenica giorno 12 corr.te mese, con un colpo del suo fucile carico a palla, ucciso il proprio Brigadiere Comandante della Stazione, Abrardo Giuseppe, sul publico stradale che dal Comune di Castelletto tende a quello di Borgoticino, e ciò a pretesto che gli era stato ordinato con aria di disprezzo di passare di dietro nella marcia che facevano assieme, trovandosi di pattuglia per oggetti di servizio. Convocato il Consiglio di guerra Divisionario subitaneo questa mattina alle ore 9 ½ sulla Piazza delle Armi, il detto Santena, già munito dei Sacramenti, fu condannato nella pena della morte passando per le armi.
1857 – 10 febbraio: Giuseppe Luchetta fu Carlo Giuseppe da Borgoticino, e dimorante a Sozzago d’anni 32 carettiere. Con sentenza dell’Eccell.ma Corte d’Appello di Casale delli 19 Dicembre 1856 venne condannato ad essere appiccato per la gola per avere nella notte delli 2 alli 3 luglio 1856 circa le ore 2 mattutine tra Fara e Sizzano assalito il Carlo Mò che con due carri assieme ad altro garzone si dirigeva a Milano, e depredato di una quantità di medaglie d’ora e d’argento etc. venne dal med.o Lucchetta ucciso. La sud.a Sentenza fu eseguita questa mattina alle ore sei, ed il paziente incontrò la morte con indifferenza sendo sempre stato in questo stato anche il giorno che stette in Confortorio. Però si è confessato e comunicato. Il cadavere fu portato per ordine fiscale immediatamente al Cimitero di questa Città. Il cappellano Antonio Venini alla nota delle spese aggiunge: al Carnefice fr. 5 e non si è voluto contentare in meno L. 7.7.6, Oltre alla sud.a spesa avanzarono dalla colletta fatta dalla Confraternita franchi centocinque che si impiegarono a frutto sulla Cassa di risparmio a favore dell’unica figlia del pred.o Luchetta, e come da disposizione esternata dal medesimo nel Confortorio all’atto dell’iscrizione nel presente catalogo.

Dalle antiche carte esistenti in archivio si apprende che nel 1587 nelle carceri novaresi vi erano solo tre detenuti in attesa dell’esecuzione, situazione attestata dal Notaio Camerale, poiché le norme stabilivano che doveva essere presentata una quaterna di nomi, in quell’anno non fu concessa grazia perché la lista era incompleta.



 
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