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08 set 2011
Ciclo di incontri: Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani

Dibattito sulle due relazioni del pomeriggio ascolta audio

E' seguito alle due relazioni del pomeriggio un dibattito in assemblea


08 set 2011
Ciclo di incontri: Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani

Le figure ministeriali nell'epistolario paolino (Stefano Romanello) ascolta audio

Stefano Romanello

Paradigma odierno determinato dall’apprezzamento, di carattere storiografico, della natura
sociologica delle prime comunità. Le prime comunità cristiane dovevano apparire agli occhi dei contemporanei del tutto equivalenti ai raduni delle associazioni volontarie che, radunandosi nelle case, è impensabile non tenessero conto della struttura familiare antica fortemente gerarchizzata, e dell’autorità in essa esercitata dal paterfamilias che, aprendo la propria casa a tali incontri, sercitava sugli ospiti una funzione di patronato, divenendo con ciò stesso punto di riferimento all’aggregazione da lui ospitata. In breve: non si può comprendere la natura delle prime comunità cristiane a prescindere dalla loro caratteristica di associazione, dalla struttura familiare che, ospitandole, proietta su esse la suddivisione gerarchica dei suoi membri, e dall’istituto del patronato che, di fatto, si viene così a creare, e dal quale non erano escluse le donne. I vari raduni dei credenti in Cristo, pertanto, avrebbero riprodotto quelle strutture sociali proprie alla loro società, secondo un naturale processo di inculturazione, ivi comprese anche le strutture gerarchiche familiari. Già negli anni ’90 diversi studi convergevano su questi dati fondamentali, tanto da ipotizzare un consenso del mondo accademico su questo nuovo paradigma interpretativo. Problema: sembra prudente postulare una dipendenza totale e acritica dei primi credenti in Cristo da dette dinamiche? Per rispondere alla domanda, la presente indagine, reputando lo sguardo alle dinamiche sociali sicuramente utile a far percepire come si articolino le figure di autorità menzionate nell’epistolario paolino, si pone come questione decisiva l’interpretazione cui sono oggetto nel pensiero di Paolo.


08 set 2011
Ciclo di incontri: Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani

Le figure ministeriali fuori di Gerusalemme nel libro degli Atti (Augusto Barbi) ascolta audio

Augusto Barbi

- Premesse: Luca non tematizza il motivo dei ministeri, ma offre preziosi elementi di informazione e di riflessione su di essi. Tali elementi sono inquadrati nella prospettiva più ampia della continuità dell'annuncio cristiano e della continuità delle epoche storico-salvifiche. Poiché la narrazione lucana è una rilettura della storia della chiesa primitiva dall'orizzonte dell'esperienza ecclesiale di Luca, occorrerà operare un'analisi storico-critica dei testi per stabilire le tradizioni utilizzate e la loro rielaborazione redazionale.

1. “Profeti e dottori” nella chiesa di Antiochia (At 13,1-3)
At 13,1 presenta una lista di 5 persone, proveniente da un'antica tradizione antiochena, che verosimilmente costituivano il collegio di presidenza della chiesa di Antiochia. Anche i titoli di “profeti e dottori”, ad esse attribuiti, sono da far risalire alla tradizione. Se si tiene conto della qualifica di “apostoli” data a Paolo e Barnaba (At 14,4.14), anch'essa frutto di una tradizione antiochena, siamo di fronte ad una triade di ministeri (apostoli-profeti-dottori) che è la stessa presentata da 1Cor 12,28, testo anch'esso di origine tradizionale, probabilmente antiochena. La convergenza delle due tradizioni fa pensareche At 13,1 sia testimone di una struttura ministeriale di tipo carismatico a capo della comunità antiochena delle origini e che la triade ministeriale, attestata dalle due tradizioni, fosse rilevante per le chiese di influenza antiocheno-paolina. Per quanto concerne invece la cerimonia liturgica dell'invio di Paolo e Barnaba (At 13,2-3), un'analisi dello stile e dei motivi fa propendere per una forte rielaborazione lucana, con la quale Luca ha voluto rappresentare ai lettori del suo tempo l'unico dato tradizionale, quello dell'invio dei due missionari da parte della chiesa antiochena.
Poiché Luca non ci offre ulteriori delucidazioni, è piuttosto problematico stabilire con precisione le funzioni attribuite a questi “profeti e dottori”. Verosimilmente gli ambiti di esse si sovrapponevano: la profezia si esprimeva maggiormente nell'annuncio carismatico della volontà del Signore nella concreta situazione, mentre all'insegnamento si doveva la cura e l'interpretazione della tradizione.

2. Il collegio dei presbiteri nelle chiese della missione paolina
I testi che entrano in questione sono At 14,22-23 e il discorso ai presbiteri di Mileto (At 20,17-35): due passi che hanno una singolare collocazione nella strategia narrativa lucana e che configurano una situazione di congedo di Paolo dalle chiese fondate, ora lasciate ad un'esistenza autonoma, senza la guida del fondatore.
La questione principale che questi testi pongono è la presenza alla guida delle chiese locali di un collegio di presbiteri già al tempo della missione paolina, mentre Paolo, pur conoscendo funzioni di guida, non fa mai menzione dei presbiteri. Luca possiede questo dato da tradizioni antiche oppure opera un anacronismo, retroproiettando una situazione del suo tempo? Se opera un anacronismo, con quale intenzionalità teologica lo fa?
Per il testo di At 14,22-23 la critica letteraria evidenzia un forte lavoro redazionale lucano e non risulta convincente il tentativo di ricostruire dietro ad esso degli elementi tradizionali. Inoltre, la collocazione del passo e la prospettiva che da esso si evidenzia orientano verso quella situazione caratteristica del tempo subapostolico che verrà ampiamente sviluppata nel discorso di Mileto.
Sulla funzione dei presbiteri il testo lascia intravedere indirettamente il compito di conservare e trasmettere la fede, intesa come contenuto della tradizione apostolica, perché i credenti rimangano saldi nelle situazioni di “tribolazioni” che si profilano per il tempo della chiesa dopo la scomparsa di Paolo.
Anche sulla modalità della costituzione dei presbiteri, il linguaggio lucano è sobrio: da una parte, è accennata la designazione ad opera dei fondatori, dall'altra la raccomandazione dei presbiteri al Signore mette in luce la potente iniziativa a cui sono sottomessi e di fronte alla quale rispondono dell'esercizio del loro ministero.
Nel discorso di Mileto, - che ci interessa principalmente nella parte successiva all'annuncio della dipartita di Paolo (At 20,25-31 e 32) - vengono più ampiamente sviluppati il fondamento e la funzione del ministero dei presbiteri. Paolo, in quanto ultimo dei testimoni, lascia in eredità ai presbiteri la tradizione apostolica - in continuità con l'annuncio di Gesù – nella sua autenticità e completezza (cf. in particolare vv. 25-27). Il loro compito – delineato nelle esortazioni a “fare attenzione” (v. 28a), a “vigilare” (v. 31); nella finalità di “pascere” il greggee nella loro funzione di “episkopoi” (v. 28b) – è soprattutto quello di garantire e mantenere viva la paradosis apostolica, a loro consegnata da Paolo, di fronte alla minaccia di deviazioni da essa e di conseguenti divisioni ecclesiali che si profilano per il tempo subapostolico. Ma il punto teologico più alto è costituito dal v. 28, dove il fondamento del ministero presbiterale è ricondotto all'iniziativa dello Spirito ed è responsabilizzato, nel suo esercizio, di fronte a Dio, a cui appartiene la chiesa che sono chiamati a guidare e alla morte salvifica di Cristo, strumento del suo acquisto. L'affidamento dei presbiteri a Dio (v. 32) non fa che rimarcare l'iniziativa divina all'origine e al fondamento del ministero dei presbiteri.
L'analisi di questi testi ci porta almeno a tre considerazioni conclusive sull'intenzionalità teologica lucana.
- retroproiettando nel tempo paolino l'istituzione dei presbiteri, Luca intende unificare l'immagine delle chiese paoline con quella della chiesa madre di Gerusalemme e ancor più vuole evidenziare il legame di continuità del collegio presbiterale – affermatosi ormai nelle chiese del suo tempo – con i testimoni qualificati (i Dodici e Paolo) dell'era apostolica.
- Senza negare la componente umana nell'istituzione dei presbiteri, Luca sottolinea ancora la componente pneumatico-carismatica di tale ministero (verosimilmente sulla scia della tradizione paolina). Mentre, infatti, legittima, mediante l'aggancio alle figure fondatrici, la progressiva istituzionalizzazione del ministero presbiterale nel suo tempo, non intende perdere la sua fondamentale qualifica pneumatologica.
- Luca precisa la funzione del ministero dei presbiteri, non solo con il compito di assicurare e garantire la tradizione apostolica, ma anche con quello di dedicarsi, sul modello di Paolo, al multiforme annuncio del kerygma, che in quella tradizione si rende disponibile con la sua forza salvifica e i suoi effetti di edificazione della comunità. Ma a questa funzione che concerne la “parola di grazia”, devono associarsi la cura pastorale e le condizioni di credibilità dell'annuncio, delle quali Paolo è stato esempio (At 20,33-35).

3. Altre figure ministeriali
Un accenno va fatto anche alla qualifica di “profeti” che alcuni personaggi del racconto lucano ricevono: Agabo (At 11,27; 21,10), Giuda Barsabba e Sila (15,32) e le figlie di Filippo che profetizzano (At 21,9), come pure al titolo di “evangelista” che viene associato a Filippo (At 21,8).

- In alcune osservazioni conclusive cercheremo di raccogliere i limiti e il valore delle informazioni lucane sui ministeri, la prospettiva in cui Luca si interessa ad essi e soprattutto la condizione di transizione che Luca testimonia nello sviluppo dei ministeri.


08 set 2011
Ciclo di incontri: Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani

Dibattito sulle due relazioni della mattina ascolta audio

Un ampio e articolato dibattito si è svolto attorno alle due relazioni della mattinata.


08 set 2011
Ciclo di incontri: Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani

La chiesa di Gerusalemme nel libro degli Atti: Pietro, Giacomo, Apostoli e Presbiteri (Giorgio Jossa) ascolta audio

Giorgio Jossa

Il tema Pietro e Giacomo ha importanti risvolti teologici. Ed è questo che spiega l’interesse attuale degli studiosi per la figura di Giacomo. Ma la mia relazione affronta il tema dal solo punto di vista storico.
Il punto di partenza è l’affermazione di Luca nel cap. 8 degli Atti degli Apostoli, secondo cui quella che egli definisce la persecuzione giudaica della chiesa di Gerusalemme colpì tutta la comunità tranne gli apostoli. Sembra impossibile che con questa affermazione Luca voglia dire che a rimanere a Gerusalemme furono proprio i dodici. Non è vero infatti che col termine di apostoli egli intenda sempre i dodici. Più probabilmente egli pensa qui a un gruppo più vasto, legato in particolare a Giacomo. E questo gruppo sarebbe composto prevalentemente da quegli Ebrei che, guidati appunto da Giacomo, si sarebbero aggiunti in un secondo momento alla prima comunità dei discepoli. E che per la loro rigorosa fedeltà alla legge mosaica a differenza degli Ellenisti erano tollerati dalle autorità giudaiche.
L’ipotesi può apparire stravagante, ma appare confermata da alcuni passi di Paolo. Nel cap. 15 della Prima lettera ai Corinzi Paolo ricorda che Gesù apparve prima a Pietro e ai dodici, poi a Giacomo e a tutti gli altri apostoli. Esiste dunque per lui un gruppo di apostoli più largo di quello dei dodici, costituito da destinatari delle apparizioni di Gesù. E quando nel cap. 1 della Lettera ai Galati Paolo afferma che, alla sua prima visita a Gerusalemme, oltre Pietro non vide altri apostoli se non Giacomo fratello del Signore, egli non pensa ai dodici, ma a questo gruppo più largo di destinatari delle apparizioni di Gesù. Credo perciò che quando Luca racconta che in quella occasione Barnaba condusse Paolo dagli apostoli non intende i dodici bensì proprio Pietro e Giacomo.
Questo gruppo più largo di apostoli, caratteristico della prima generazione di discepoli, cede però abbastanza presto il posto a un nuovo gruppo di autorità locali: i presbiteri. Se al concilio di Gerusalemme i personaggi più autorevoli accanto a Pietro e Giacomo sono ancora gli apostoli e i presbiteri, nell’ultima visita di Paolo a Gerusalemme egli con Giacomo non incontra più gli apostoli, ma soltanto i presbiteri.


08 set 2011
Ciclo di incontri: Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani

I Dodici: origini, ruolo, scomparsa (Jacques Schlosser) ascolta audio

Jacques Schlosser

Dans l’exégèse moderne, les Douze appelés par Jésus ont retenu l’attention des exégètes particulièrement vers le milieu du siècle dernier, en lien avec l’émergence de la Redaktionsgeschichte. Plus récemment, l’intérêt pour le thème s’est déplacé sous l’influence de la recherche historique relative à Jésus dont la dernière phase, la troisième quête, a réinséré plus fortement Jésus dans la mémoire et dans les attentes de son peuple.
Notre démarche commencera par la présentation du dossier textuel. Parce ce 1 Co 15,5-7 constitue l’attestation la plus ancienne du thème, nous insisterons d’abord sur ce texte. Nous présenterons ensuite, mais rapidement, les attestations évangéliques, en soulignant la variété des expressions et en insistant sur le témoignage fondamental de Marc.
La dimension historique de notre sujet invite à voir de plus près le petit récit sur la constitution du groupe par Jésus (Mc 3,13-16 et parallèles) pour en dégager la visée. À cet égard, les fameux catalogues que les rédacteurs ont soudés au récit sur la constitution du groupe offrent plusieurs traits illustrant la nature du projet de Jésus. Fortement contestée dans son historicité pendant une longue période, l’initiative de constituer ce groupe est actuellement attribuée massivement au Jésus de l’histoire, comme le montre un bref aperçu sur la recherche récente qui enregistre également la discrétion du rôle joué par les Douze dans l’Eglise primitive.
Le rôle et la signification des Douze font l’objet de la partie finale de notre exposé. L’histoire du groupe fait qu’il relève à la fois du ministère de Jésus et de l‘Église naissante. En ce qui regarde le premier aspect, un aperçu limité mais substantiel sur la tradition juive et plus précisément sur son espérance eschatologique permet d’identifier le choix des Douze par Jésus comme un geste prophétique répondant à l’attente du peuple de Dieu. Selon F. Mussner, Jésus aurait réagi au refus manifesté à son égard par ses contemporains en reconsidérant la fonction des Douze dans la perspective de l’Église à venir. Cette thèse est difficile à admettre en tant que telle. On peut néanmoins en retenir que les Douze expriment l’enracinement de l’Église dans l’Ancien Testament et valident du même coup la fiabilité de la promesse.


08 set 2011

Introduzione al tema (Giuseppe Bellia) ascolta audio

Il prof. Bellia sottolinea il fatto che negli ultimi anni è cresciuto il divario tra l'ermeneutica storica e teologica. Occorre quindi ricercare una via di incontro tra queste due ermeneutiche, se si vuole superare l'innaturale separazione tra approccio storico e teologico, analogamente a quello che è avvenuto nella vicenda sul "Gesù storico".
Il percorso conoscitivo nell'antichità procedeva "dalla fede alla scrittura" e non viceversa, "dalla scrittura alla fede" come avviene oggi. Il centro delle Scritture per i primi cristiani del I sec. non era più la Torah ma una persona, Gesù di Nazaret. Anche chi dissentiva contro altre linee interpretative dichiarava la sua distanza dal centro e il centro era Gesù Cristo. Su questa base antropologica aperta al sacro il prof. Bellia ritiene che sia possibile elaborare una visione più armonica, nitida e ramificata capace di interpretare il dato effettivo. Ad es. non si può prescindere dal valore dello Spirito Santo come pure non si può ignorare la prospettiva secondo la quale Gesù che "è venuto per servire e non per essere servito" elemento base di ogni ministero.
In 1Cor 12 emerge un quadro poliedrico dei carismi e dei ministeri. Ai presbiteri spettava di vigiliare. Da questi concetti di teologia paolina si sarebbe sviluppata una via doppia tra carismi e miniteri. Questa è una visione concordista avanzata negli ultimi decenni.
Sembrava arduo, in queste concezioni, pensare che un capo di comunità locale delle lettere pastorali potesse essere assimilato all'immagine dell'espiskopos del II sec.
Nella Chiesa di Roma Clemente sarebbe stato un ministro itinerante... in quegli anni si fece strada l'idea che i ministeri nella Chiesa sarebbero nati successivamente ma non ancorati sulla ministerialità originaria di testimonianza neotestamentaria.
I ministeri invece hanno origine culturale già nel NT e ciò lo troviamo confermato anche in Ignazio di Antiochia.
Recentemente sono emersi i contributi delle scienze umane ma occorre accompagnare questi approcci con gli approcci sociologici che riflettano sulle valenze simboliche di matrice giudaica ed ellenistica.
Gli scritti neotestamentari partecipano a più tradizioni e tutti questi elementi collaborano a creare la visione semantica e linguistica complessa. Tra i marcatori linguistici specifici emergono da alcuni dati:
1) La radice "diak-" negli scritti neotestamentari tale radice compare molto di frequente. Il servizio come opera di mediazione cristiana e sequela: il servizio della parola, il compito cultuale del servizio alle mense e alle chiese. Tutto si configura come riferimento a Gesù. Il riferimento a Cristo "diacono" è fondante. Il luogo nel contesto giudaico era la Sinagoga, sede di dibattimento penale. L'esistenza di sinagoghe del I sec. è attestata. Ci sono oltre 70 Sinagoghe in Galilea, valore istituzionale comprovata non solo nella Diaspora.
Che i nostri convegni di studio possano essere un contributo diretto a questa ricerca!


08 set 2011
Ciclo di incontri: Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani

Saluto del presidente dell'ABI (Luca Mazzinghi) ascolta audio

Luca Mazzinghi

Luca Mazzinghi portando il saluto ai presenti legge un brano a conclusione della Lettera ai Romani (Rm 16,1-16). Febe, diaconessa della Chiesa di Cencre, Prisca e Aquila forse non solo collaboratori in senso generico e altri ruoli qui enumerati. Di tutto questo si parlerà con importanti esperti qui presenti come relatori.
Don Luca Mazzinghi coglie anche l'occasione per salutare il past-president don Rinaldo Fabris.
Mazzinghi ricorda che l'ABI ha due ambiti, l'AT e il NT e ogni due anni si tengono convegni dedicati sia all'AT come al NT. L'ABI si fa carico dell'organizzazione di questi convegni anche se essi hanno uno statuto autonomo. Questo permette di lavorare in modo interdisciplinare tra competenze diverse sia per AT come per NT. L'ABI per statuto fa parte della Chiesa Cattolica secondo lo Spirito del Vaticano II ("finché sarò presidente difenderò con i denti l'affermazione 'secondo lo Spirito del Concilio Vaticnao II'").
Conclude il saluto affermando che questi convegni sono il cuore dell'attività dell'ABI, questi convegni, la settimana biblica e le pubblicazioni scientifiche.
Richiamo del lavoro come esegeta: il principio di Dei Verbum 13: sunkatabasis, la condiscendenza di Dio. Per sua natura l'esegesi deve avere una dimensione critica e storica, richiesta dalla verità dell'incarnazione: "Parola fatta carne". Giovanni Paolo II afferma: "la Chiesa di Cristo prende sul serio larealtà dell'incarnazione ed è per questa ragione che attribuisce grande importanza all'esegesi storico critica" (citazione a memoria).
Il fatto che siamo ad Assisi porta a dire che san Bonaventura trasmise la sua biografia, e Sabatier riscoprì l'interpretazione più autentica di Francesco rispetto alla vulgata ecclesiale allora diffusa. Quello che oggi sappiamo di Francesco lo sappiamo non grazie a Bonaventura ma grazie alle altre interpretazioni tra cui Tommaso da Celano. Analogamente all'operazione storico-critica sui testi biblici. Per il fatto stesso di essere storica e critica è teologica, in virtù dell'incarnazione. Il nostro lavoro non è tempo perso, non è mai tempo perso!
Ultimo aspetto: le ricadute di questo lavoro sulla vita della Chiesa sono più che evidenti: produrre risultati di ricerca, lasciandoci interrogare noi stessi dalla ricerca messa in atto. Mazzinghi ringrazia quindi gli organizzatori del convegno, la segreteria e la casa che accoglie. Lo stile della partecipazione è sollecitata e rivolta a tutti.


09 set 2011
Ciclo di incontri: Anniversario di fondazione dell'Oratorio di Varallo

Patria, cittadinanza, oratorio ascolta audio

Carlo Baruffi, don Stefano Rocchetti, Mons. Pierfranco Pastore


09 set 2011
Ciclo di incontri: Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani

L'organizzazione ecclesiale di Ignazio d'Antiochia e dibattito (Carlo Dell'Osso) ascolta audio

Carlo Dell'Osso

Introduzione
Due osservazioni preliminari,
a) Ignazio ha chiamato per la prima volta la chiesa ekklesìa katholikè, dice, infatti nella lettera alla comunità di Smirne: “Dove compare il vescovo, là sia la comunità, come là dove c'è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica”.
b) le lettere di Ignazio non hanno equivalenti tra gli altri scritti della prima metà del II secolo relativamente alla presentazione della struttura ministeriale, che rispecchia la trilogia vescovo, presbiteri, diaconi, attestando un tipo di organizzazione ecclesiale detta “monoepiscopato” oppure “episcopato monarchico”.

I. Testi ignaziani (presentazione di testi)

a. Il vescovo
“Nessuno senza il vescovo faccia qualche cosa che concerne la Chiesa. Sia ritenuta valida l'eucaristia che si fa dal vescovo o da chi è da lui delegato. Dove compare il vescovo, là è la comunità, come là dove c'è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica. Senza il vescovo non è lecito né battezzare né fare l'agape; quello che egli approva è gradito a Dio, perché tutto ciò che si fa sia legittimo e sicuro” (Smirnesi 8, 1 – 2).
“Cercate di tenervi ben saldi nei precetti del Signore e degli apostoli perché vi riesca bene tutto quanto fate nella carne e nello spirito, nella fede e nella carità, nel Figlio, nel Padre e nello Spirito, al principio e alla fine, con il vostro vescovo” (Magnesii 13,1).

b. I presbiteri
“Similmente tutti rispettino i diaconi come Gesù Cristo, come anche il vescovo che è l'immagine del Padre, i presbiteri come il senato di Dio e come il collegio degli apostoli. Senza di loro non c'è Chiesa” (Tralliani 3,1)
“Con la guida del vescovo al posto di Dio, e dei presbiteri al posto del collegio apostolico e dei diaconi a me carissimi che svolgono il servizio di Gesù Cristo che prima dei secoli era presso il Padre e alla fine si è rivelato” (Magnesii 6, 1).
“Come Gesù Cristo segue il Padre, seguite tutti il vescovo e i presbiteri come gli apostoli” (Smirnesi 8,1).
“Conviene procedere d'accordo con la mente del vescovo, come già fate. Il vostro presbiterio ben reputato degno di Dio è molto unito al vescovo come le corde alla cetra. Per questo dalla vostra unità e dal vostro amore concorde si canti a Gesù Cristo. E ciascuno diventi un coro, affinché nell'armonia del vostro accordo prendendo nell'unità il tono di Dio, cantiate ad una sola voce per Gesù Cristo al Padre, perché vi ascolti e vi riconosca, per le buone opere, che siete le membra di Gesù Cristo. È necessario per voi trovarvi nella inseparabile unità per essere sempre partecipi di Dio” (Efesini 4).

c. I diaconi
“Similmente tutti rispettino i diaconi come Gesù Cristo” (Tralliani 3,1)
“ Saluto il vescovo degno di Dio, il venerabile presbiterio, i diaconi miei conservi” (Smirnesi 12, 1)

II. Problemi ignaziani

a. Ignazio e NT
E’ utile ritornare sul rapporto di parentela evidenziato tra le lettere di Ignazio e gli scritti del Nuovo Testamento; in tal senso è stata subito notata una certa corrispondenza tra le lettere ignaziane e le lettere cosiddette “pastorali”, per il fatto che sembrano essere scritte nello stesso periodo ed avere contenuti simili, specialmente riguardo al ruolo “monarchico” del vescovo nei passi dove ricorre il termine episcopos, ovvero Tito 1, 7 - 9 e 1 Timoteo 3,1 - 8.

b. Monoepiscopato e apostolicità
Se distacchiamo il concetto di apostolicità da quello di tipo genealogico/ireneano e lo colleghiamo invece con gli indizi storici che autorizzano a collocare in epoca apostolica l’emergenza dell’episcopato monarchico, si potrebbe affermare l’origine apostolica dell’episcopato e quindi la sua apostolicità. A nostro avviso, non si può escludere che l’istituto del monoepiscopato sia annoverato tra le primissime forme di organizzazione della comunità cristiana.

c. Gli oppositori di Ignazio
Giudaizzanti e Doceti? O meglio un unico gruppo identificabile con gli ambienti da cui avrebbe tratto origine l’Ascensione di Isaia, in cui si professava un’ecclesiologia di tipo profetico e carismatico con un forte accento polemico nei confronti degli ordinamenti vigenti nelle chiese di allora.

d. La pace ritrovata
Tre ipotesi: la fine di una persecuzione; la vittoria della fazione favorevole ad Ignazio; la fuoriuscita del vescovo. Nostra ipotesi.

Suggestioni conclusive
Occorre sfumare quelle ricostruzioni degli studiosi che insistono molto sull’ostilità da parte delle comunità cristiane verso l’episcopato monarchico e l’organizzazione gerarchica delle chiese.
Inoltra, va ridimensionato il mito della preesistenza di organizzazioni ecclesiastiche fondate sul modello sinagogale del collegio presbiterale, in seguito soppiantate dall’episcopato monarchico, almeno per quanto riguarda l’Asia.
Siamo convinti dell’antichità e precocità del monoepiscopato e della trilogia vescovi, presbiteri e diaconi, organizzazione ecclesiale che non nacque, ma si consolidò ai tempi di Ignazio.


09 set 2011
Ciclo di incontri: Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani

Dibattito sulla relazione di Yann Redalié ascolta audio


09 set 2011
Ciclo di incontri: Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani

Comunicazioni dell'ABI ascolta audio

Il presidente Luca Mazzinghi e il responsabile di Rivista biblica offrono alcuni aggiornamenti sulle pubblicazioni che fanno capo all'ABI per sollecitare la partecipazione e il contributo di diffusione da parte dei soci presenti all'incontro.


09 set 2011
Ciclo di incontri: Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani

I ministeri nelle lettere pastorali (Yann Redalié) ascolta audio

Yann Redalié

Quattro sono i punti delle posizioni attuali sulle "lettere pastorali":
1) Secondo il consenso critico classico il carattere tardivo delle pastorali rappresenta una tappa di evoluzione "negativa". Questa è una tappa verso l'istituzionalizzazione dei carismi. E' stata importante l'entrata in massa nel tema dei ricercatori cattolici dopo il Vaticano II.
2) E' emersa così una visione positiva della storiografia delle pastorali
3) Recentemente ci sono state contestazioni provenute dal mondo anglosassone, con due critiche di metodo: gli argomenti per la pseudoepigrafia sono analizzati ma nessuno degli argomenti è determinante. Il secondo sottolinea la critica del cosiddetto "grouping" cioè di trattare 1 e 2Tm e Tt come "le pastorali" senza analizzare la specificità degli autori di ogni opera, evitando di inserirle nel genere letterario che pregiudica il giudizio sull'opera. Questi autori cercano di vedere la continuità tra Paolo e le Pastorali negando un'evoluzione nei ministeri.
4) Tenendo conto del canone del NT si può considerare le pastorali come epistole di Paolo non sul piano della storicità ma sul piano della ricezione. Per questo la composizione canonica intende l'autore come unitario. Sull'ecclesiologia paolina dice l'importanza dell'apostolo sulla Chiesa. Questa autorità apostolica sulla Chiesa viene ripresa nelle Pastorali attraverso due elementi, con la Lettera che colma la distanza geografica e la distanza temporale. 1Tm 3,14-15: sottolinea il fatto che nello scritto ci sono tutte le indicazioni per il comportamento. La presenza è tansitato attraverso Timoteo e Tito come ministri. "Post-apostolico", anche Ignazio dice: "io parlerò come un apostolo". Questo è importante per la coscienza storica della storia della Chiesa.

Inoltre per parlare di "ministri" nelle lettere pastorali certamente ci sono le indicazioni sui ministri ma anche le parole dirette ai destinatari. Le lettere a Timoteo e a Tito non sono solo a delle persone ma a figure che hanno autorità sulle comunità. Nelle lettere si capisce che c'è la volontà di forgiare dei "tipi" a imitazione dell'apostolo. "Tipi" che dipendono dall'"upotuposis" che è Paolo stesso.

La qualifica di "collaboratori fedeli" dell'apostolo predispone Timoteo e Tito a diventare da un lato le figure della presenza dell'apostolo, rappresentanti dell'apostolo, dall'altro, sono modelli per i ministri fedeli. Questo vuol dire che devono essere in grado di formare altri in grado di trasmettere. Una articolazione nella fedeltà che dura. Questo è importante nell'ermeneutica delle epistole pastorali nei ministeri.
Timoteo e Tito sono rappresentait nelle Pastorali come figure di transizione e di passaggio, c'è la coscienza di una storia di trasmissione e di transizione.
Alcuni testi enunciano le condizioni di accesso ai ministeri: 1Tm 3,1-16 (questo testo si inserisce dopo avere parlato della preghiera in tutta la comunità); 1Tm 5,17-22; Tt 1,5-9.
Le qualità richieste per assumere un ruolo ministeriale hanno quasi nulla di specifico, possono essere usate per un ministro oppure per un altro. Gli studi svolti mostrano che sono molto simili a funzioni in epoca ellenistiche, come per chi vuole diventare generale nell'esercito deve avere le caratteristiche che ritroviamo anche qui per il ministro.


10 set 2011
Ciclo di incontri: Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani

La successione apostolica in Clemente ed Ireneo (Enrico Cattaneo) ascolta audio

Enrico Cattaneo

Secondo molti autori, la posizione di Ireneo sulla successione episcopale della Chiesa di Roma non è difendibile né storicamente né teologicamente. Il problema dunque è duplice: storico e teologico, anche se storia e teologia in questo ambito sono difficili da separare. In effetti, solo la Chiesa Cattolica, le Chiese Ortodosse e, almeno in parte, la Comunione Anglicana, ritengono necessaria all'essere della Chiesa la presenza di una successione apsotolica ininterrotta.
Per la maggioranza delle comunità protestanti invece, questo concetto non è essenziale perché ci sia una chiesa. L'apostolicità appartiene alla Chiesa intera, senza la necessaria mediazione di un ordine episcopale, ma è unicamente legata alla verità del Vangelo. E' normale allora che trattando della "successione apostolica" ci siano diverse valutazioni dei dati storici, a seconda delle rispettive confessioni.
In effetti, molti dati sono in se stessi ambivalenti, e possono essere interpretati sia in modo massimalista, sia in modo minimalista. In ogni caso, da un punto di vista storico la questione della successione apostolica è strettamente connessa con la nascita del mono-episcopato o episcopato monarchico, da un punto di vista teologico è congiunta con il problema dell'autorità apostolica, della sua legittimità e della sua continuità nella Chiesa.


10 set 2011
Ciclo di incontri: Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani

Presenza e persistenza dei ruoli carismatici: il caso delle assemblee sul montanismo nel II secolo (Enrico Norelli) ascolta audio

Enrico Norelli

Ho deciso di studiare un fenomeno le cui caratteristiche non mi sembrano essere state ancora completamente illustrate: i cosidetti sinodi antimontanisti degli ultimi decenni del II secolo, dei quali fonisce testimonianza Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica 5,14,16-19. In un penentrante articolo Eric Junod mostrò che non si tratta di sinodi in senso proprio, cioè di riunioni di delegati di diverse chiese al fine di risolvere problemi d'interesse collettivo, bensì di riunioni interne a una comunità locale, alle quali erano invitati vescovi di altre comunità. Tali presenze si spiegherebbero per il fatto che nell'ultimo terzo del II secolo i vescovi d'Asia minore sembrano aver preso su di sé il ministero del discenimento delle profezie.


10 set 2011
Ciclo di incontri: Convegno di Studi Neotestamentari e Anticocristiani

Dibattito sulle due relazioni della mattina e conclusioni ascolta audio

Il dibattito conclusivo sulle due relaioni di Enrico Cattaneo e di Enrico Norelli e al seguito interventi di valutazione complessiva e conclusiva di tutto il convegno.


16 set 2011

Soggettività, comunità e responsabilità, le tre crisi del mondo post-moderno ascolta audio

Giuseppe Savagnone

L'io? Una "società per azioni a maggioranza variabile". È l'immagine vivace con cui Giuseppe Savagnone descrive come l'uomo si autopercepisce nella cultura odierna, cosiddetta post-moderna. L'esistenza è vissuta come una serie di esperienze che stentano a trovare nell'interiorità un centro unificante, capace di critica e confronto consapevole. È così tramontata (per fortuna) l'epoca degli uomini "tutti d'un pezzo", in cui aderire ai modelli dominanti era l'unica via per sentirsi cittadini a pieno titolo di una società omologante. Ma un io troppo moltelplice e inconsapevole di sé è incapace di scegliere la direzione della propria vita, e rischia di vagare senza meta, in balia di pulsioni interiori ed esteriori che non riesce a dominare. Ma insieme all'io, oggi sono in crisi anche i concetti di comunità e di missione. L'uomo post-moderno desidera essere autonomo, e si mostra insofferente nei confronti delle forme organizzate di vita comune, siano esse la famiglia, la Chiesa o lo Stato, temendo che essa siano una minaccia alla sua libertà di "farsi i fatti propri". E dimenticando che le azioni di ciascuno hanno effetti, prima o poi, sulla vita di tutti gli altri membri di una società. Così, nel clima di disimpegno generale, la vita non è più percepita come una una missione da vivere a vantaggio degli altri, ma come la ricerca della propria autorealizzazione. Una sorta di mito che impedisce di vedere come, in realtà, le più ricche soddisfazioni personali nascono dal mettersi a disposizione degli altri offrendo con passione il meglio delle proprie capacità e delle proprie forze. Tre crisi dunque - quelle dell'io, della comunità e della missione - che espongono l'uomo d'oggi a rischi e a difficoltà. Ma anche altrettante opportunità di crescita di una società più felice e umanizzata, purché i giovani trovino sulla loro strata educatori, capaci di ascoltarli, di comprenderli e di aiutarli a crescere. È il compito che la Chiesa si assume nel nuovo decennio pastorale.


17 set 2011

Il contadino, il pescatore e il pastore, paradigmi dell'azione educativa ascolta audio

Giuseppe Savagnone

Si parla tanto di "emergenza educativa". Ed è vero, l'emergenza c'è. Ma la colpa non è dei giovani. Sono gli adulti, infatti, a essere da sempre in difficoltà nel capire le nuove generazioni. E oggi più che mai, a motivo dei grandissimi cambiamenti culturali degli ultimi decenni, tanto che i genitori si sentono ormai incapaci di proporsi ai loro figli con argomenti credibili e come modelli di vita convincenti. Come uscire dall'impasse? Occorre "seminare", suggerisce il Vangelo, che - nella parabola del seminatore - pone l'accento sul terreno, cioè sulla persona in crescita, vero protagonista del processo educativo. Chi educa deve porsi al suo servizio, attendendo che i giovani maturino, crescano, siano pronti a compiere nuovi passi nel cammino formativo. Ma seminare e attendere non basta. Gesù infatti sceglie tra i suoi discepoli i pescatori, abili nel seguire i pesci per andare a pescarli là dove si trovano, spinti da correnti, venti e maree. Come gli educatori, che oggi debbono intuire dove vanno i gusti e gli interessi dei giovani, per essere pronti a intercettarli con strategie che, per essere efficaci, debbono essere continuamente rinnovate. E infine il Vangelo ci parla dell'educazione con la figura del pastore, colui che ama e conosce le pecore per nome, e va a cercare la pecora smarrita, lasciando le altre 99 nell'ovile. Un compito oggi forse più duro che in passato - perché 99 sono le pecore smarrite mentre una sola è rimasta nell'ovile del Signore -, ma per questo ancora più necessario, perché l'azione di una parrocchia sia autenticamente missionaria, pensando all'intero territorio affidato alle sue cure e non solo ai pochi che frequentano la messa. Così la Chiesa potrà offrire a tutti il modello di vita di Gesù, in cui il desiderio di vita e di bellezza si sposa con la capacità di dono e di amore gratuito. È la rivoluzione (pacifica) più grande, che tutto il mondo attende.


02 ott 2011

La questione educativa oggi e la parrocchia come ambiente educativo ascolta audio

Maria Teresa Moscato

«L'educatore? È uno che lavora per... rendersi superfluo» - così Maria Teresa Moscato descrive, scherzosamente, l'esito di ogni percorso educativo, che mira alla crescita nell'autonomia. Un percorso che si gioca sulla relazione tra i ragazzi e le persone significative (genitori, insegnanti, catechisti, fratelli e amici più grandi), che essi tendono inconsciamente a imitare, identificandosi con esse. Il tutto si gioca in un orizzonte culturale, mutevole nel tempo, che oggi viene mediato sempre più dai media - tv e Internet - cui i giovani sono perennemente esposti, con pieno accesso ad aspetti della realtà da cui un tempo gli adulti potevano proteggerli. Sul fronte famigliare, le famiglie - meno solide di un tempo - sono indebolite nel loro ruolo educativo. I genitori separati, infatti, sono più arrendevoli e accondiscendenti verso i figli, che vorrebbero legare più a sé che all'altro coniuge. E i figli crescono minati nella fiducia in se stessi, perché il trauma della separazione di mamma e papà ha deluso la fiducia che riponevano nelle persone per loro più significative. Spesso poi sono figli unici, privi di dell'esperienza sociale precoce consentita dal rapporto con fratelli e con cugini coetanei. Per questo i bambini oggi non sono più capaci di autogestire le attività di gioco, e necessitano di un animatore che "insegni loro a giocare". E da adolescenti, privi del sostegno di famiglie rassicuranti, si appoggiano molto al gruppo dei pari. Che diviene anche il teatro in cui sperimentare le precoci esperienza sessuali, cui i media li spingono, all'insegna di una spontaneità guidata dalla logica del "fin che dura, dura", priva - anche in età adulta - di una chiara progettualità di vita a due. È questo il teatro in cui si gioca la presenza educativa delle comunità parrochiali. Spesso scelte dai genitori come agenzie economiche e sicure cui affidare i figli - a prescindere da serie motivazioni valoriali. Ma ogni occasioni è buona, se consente di famigliarizzare con i ragazzi, per tempi sufficientemente lunghi a costruire relazioni significative tra loro e con gli educatori. L'esperienza di gruppo e - quando è possibile - del rapporto a tu per tu con gli educatori, consentiranno ai ragazzi di crescere. Così sarà possibile educare i giovani alla fede. A patto, però, che la catechesi sia di qualità elevata, culturalmente difendibile e capace di toccare i problemi concreti della vita, impedendo che la fede si riduca a un insieme di riti in odore di superstizione, o che venga archiviata tra le esperienze infantili che non hanno più nulla da dire nella vita adulta. È la sfida che attende le comunità cristiane e - in prima linea - i catechisti.


25 ott 2011
Ciclo di incontri: Prendi e leggi! La Bibbia nel cuore della cultura occidentale

Protovangelo di Giacomo: il testo nel contesto ascolta audio

don Silvio Barbaglia

Un testo apocrifo, cioè “nascosto”. Il Protovangelo di Giacomo appartiene a quell’insieme di testi che la Chiesa ha con il tempo ha ritenuto inadatti o fuorvianti nel condurre all’incontro con Cristo. Una scelta che è frutto di un vivace dibattito tra le molteplici esperienze cristiane cresciute tra il II e IV secolo. Fondate su autorevoli tradizioni apostoliche e accomunate dalla presenza tangibile dello Spirito Santo, le Chiese appaiono divise da contrastanti visioni teologiche, che si confrontano in un processo dialettico, alla ricerca del vero volto di Cristo. Questione cruciale, in un contesto culturale permeato da una forte domanda di salvezza e che – a differenza di oggi – presuppone l’esistenza di una verità e di una profonda continuità tra parola e realtà. Ma il dibattito infuria anche nei confronti dei giudaismi non cristiani e del paganesimo, che cercano di screditare la novità offerta dalla via di Gesù, attaccandone il fondamento, cioè l’origine e la natura di Gesù stesso. Ne abbiamo un eco nel Contra Celsum di Origene, che attesta la presenza di tesi che vedono in Gesù non il figlio di Dio, ma di un soldato romano di nome Pantera, unitosi a Maria in una relazione adulterina, dissimulata poi dai cristiani con la “fandonia” della nascita miracolosa e verginale, presa a prestito dai coevi culti misterici. Il Protovangelo di Giacomo si colloca in questo dibattito come scaltra azione di propaganda, grazie a una narrazione che salvaguarda l’origine divina di Gesù col nobilitre al massimo anche quella della madre Maria. Maria appare lei stessa frutto di un concepimento miracoloso, consegnata al Signore fin dalla nascita, vergine purissima al servizio del Tempio. Una vera “campionessa” della purezza e della verginità, che nessun avversario deve più azzardarsi a scalfire.


07 nov 2011
Ciclo di incontri: Percorso interreligioso

Il libro delle Sacre Scritture nelle Religioni del Libro ascolta audio

don Silvio Barbaglia

Religioni “del Libro”. Così il Corano chiama, nella Sura V, le altre due religioni – Ebraismo e Cristianesimo – che con l’Islam condividono il riconoscere il loro padre in Abramo, e il fondarsi su testi sacri. Sono la Bibbia ebraica, recepita integralmente dal Cristianesimo – che la amplia con altri testi antichi e con il Nuovo Testamento – e il Corano, che assume le tradizioni ebraica e cristiana e le rielabora. Ma – al di là delle differenze – quali aspetti comuni condividono queste tre religioni per il fondarsi su testi scritti? Nata 5.000 anni fa come ausilio al commercio, la scrittura, da strumento per “contare” quantità di merci e denaro, diventa gradualmente strumento per “raccontare” la storia dell’uomo e trasmetterne la cultura, in particolare nell’ambito sacro. E qui essa diviene Scrittura, con l’iniziale maiuscola. Un prodotto dell’uomo, recepita però come parola di Dio, in cui Dio parla direttamente al popolo, come attraverso un oracolo, immutabile e sacra. Ma c’è scrittura e scrittura. Il greco, nella sua completezza fonetica, rende univoca la lettura dei testi cristiani, che gli sono affidati, mentre in ebraico e in arabo l’assenza dei segni vocalici richiede l’intervento creativo di un lettore, che trasformi il segno in parola. Senza dimenticare che, in ebraico, un ulteriore livello interpretativo è offerto dal valore numerico delle lettere, e quindi delle parole che esse compongono. Primi indizi, utili a comprendere come, nelle tre tradizioni, gli elementi testuali giochino ruoli diversi.


08 nov 2011
Ciclo di incontri: Prendi e leggi! La Bibbia nel cuore della cultura occidentale

Concepimento miracoloso di Maria ascolta audio

don Silvio Barbaglia

“Protovangelo”. Un nome che indica come il racconto preceda quello evangelico e lo prepari, narrando la storia dell’origine di “nostra Signora Maria”. E il Protovangelo di Giacomo descrive l’origine di Maria con tratti miracolosi ed eccezionali, che vanno a rispondere alle infamie che – negli ambienti giudaici e pagani – si sono diffuse a screditare l’origine di Gesù. Gioacchino, suo padre, è descritto come uomo ricco, generoso nelle offerte al Tempio e benedetto da Dio. Ma Ruben, suo antagonista, gli contesta la sua assenza di discendenza, incompatibile, in Israele, con lo status di uomo giusto. Gioacchino si ritira in preghiera nel deserto, in 40 giorni che riecheggiano il quarantennale vagare di Israele nel deserto e anticipano i 40 giorni di tentazione di Cristo. Anna, sua moglie, sola e amareggiata, rifiuta di unirsi alla festa del Tempio, prega e piange nel giardino la sua sterilità, nota stonata in un creato che Dio ha voluto fecondo. Ma un angelo la raggiunge e le annuncia che il Signore l’ha esaudita, concepirà e delle sua prole parlerà tutta la terra. Subito dopo due messi la avvertono che anche Gioacchino è stato avvisato da un angelo che lei… ha concepito!, e la sta raggiungendo. Anna così ha concepito, in assenza del marito, un figlio che entra nel loro amore di coppia in maniera miracolosa, come scollegata da un unione carnale dei coniugi.


13 nov 2011
Ciclo di incontri: Genesi. Nel racconto dell'Inizio, la matrice della civiltà europea

All'origine della vita: creazione o evoluzione? ascolta audio

Antonio Petagine

Una lettura del rapporto tra Creazione ed Evoluzione che cerca di dissolvere le contraddizioni più evidenti recuperando gli elementi fondativi della teoria Darwiniana, messa a confronto da una parte con le teorie Neodarwiniane e dall'altra con la tesi del Disegno Intelligente


13 nov 2011
Ciclo di incontri: Genesi. Nel racconto dell'Inizio, la matrice della civiltà europea

"... Dio vide che era cosa buona" - Parte seconda ascolta audio

don Silvio Barbaglia

Si propone una lettura ermeneutica innovativa del primo racconto di Creazione alla luce di un'interpretazione della Genesi che vede il primo testo dell'Antico Testamento come una rilettura delle origini compiuta dal popolo di Israele presumibilmente durante l'esilio babilonese  


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